Ricordo di due Santi

Il giorno in cui ricorre la memoria liturgica del beato Paolo Burali, a cui è legata la fondazione della Casa filippina di Napoli, e del quale san Filippo Neri pianse la morte come una perdita per tutto il mondo cristiano, offre l’occasione di ricordare un altro grande santo, Alfonso Maria de’ Liguori, che con la Casa di Napoli ebbe profondi legami e di cui ricorre quest’anno il 250.mo della nomina a Vescovo. L’Istituto Storico Redentorista ha pubblicato, nell’occasione, un prezioso volume di studi (Specilegium Historicum Congregationis SS.mi Redemptoris, annus LX (2012), fasc. 1-2, Romae, 2012, 432 pp) che la Procura Generale ha ricevuto in omaggio e di cui ringrazia il Collegium S. Alphonsi de Urbe.

Tracciare un profilo di un santo della levatura di Alfonso Maria de’ Liguori, è impresa davvero difficile.

Lo ricordiamo come patrono dei Moralisti, a ciò eletto dal ven. Pio XII nel 1950. La sua attualità – che affiora nelle numerosissime opere di meditazione e di ascetica, ma soprattutto nella sua Theologia moralis – sta nel fatto che, pur contrastando nella sostanza il relativismo morale e riconoscendo la Chiesa cattolica come suprema maestra, diede spazio alle “voci interiori della coscienza” e mantenne una posizione di equilibrio e di pratica prudenza tra i due estremi del rigorismo e del lassismo. È questo in effetti il vero capolavoro di colui che, canonizzato nel 1839, dal beato Pio IX nel marzo 1871 fu dichiarato Dottore della Chiesa.
 

Era nato il 27 settembre 1696 a Marinella, nei pressi di Napoli, nel palazzo di villeggiatura della nobile famiglia de’ Liguori. Primo di otto figli e crebbe all’insegna di una robusta educazione religiosa, conseguita anche addolcita nell’Oratorio di Napoli, cui apparteneva uno zio materno. Iniziò una brillante carriera forense che interruppe improvvisamente per la delusione provata in un processo giudiziario tormentato di falsità. Ricevette l’ordinazione sacerdotale nel 1726 ed iniziò un ampio esercizio di ministero. Fondò la Congregazione del SS. Redentore con l’intento di imitare Cristo e con la missione di portare la redenzione alle anime, soprattutto dei cristiani più poveri ed abbandonati.
 

Nel 1762 fu nominato vescovo di S. Agata dei Goti e in un’area montagnosa, povera e bisognosa di ogni forma di aiuto, diede tutto se stesso con immensa generosità.
 

Morì il 1° agosto 1787, giorno in cui la sua memoria è celebrata nel Calendario universale della Chiesa.

Paolo Burali nacque ad Itri presso Gaeta nel 1511 dal ramo dei nobili Burali di Arezzo, lì trasferitosi al seguito di re Ladislao; al battesimo ebbe il nome di Scipione che poi cambiò quando fece la sua professione religiosa. Ad appena 14 anni fu iscritto all’Università di Salerno e proseguì gli studi in quella di Bologna, dove ebbe come maestro il grande professore Ugo Boncompagni che diverrà papa con il nome di Gregorio XIII: in questa Università, a 25 anni, si laureò brillantemente in diritto civile e canonico “con argomentazioni acute e sottili, non come alunno, ma con la sicurezza di un professore”. Svolse la sua attività di avvocato e giudice per dodici anni nelle aule giudiziarie del Tribunale di Napoli, con tanta rettitudine e integrità da meritarsi l’appellativo di “amico della verità e padre dei poveri”.
 

Desideroso di una vita più ritirata, lasciò il Foro ma fu costretto a riprendere la professione perché Carlo V lo promosse regio consigliere e il re di Napoli, conscio della sua saggezza e competenza giuridica, lo inviò presso Paolo IV per dirimere questioni e controversie di carattere civile ed ecclesiastico, compito che dovette esercitare anche presso la Corte di Spagna.
 

I successi professionali non offuscarono mai il suo spirito, teso ala perfezione, e il desiderio della santità che occupava il primo posto nella sua vita. Si affidò alla guida spirituale del veneziano Giovanni Marinoni teatino, erede e collaboratore di san Gaetano, che reggeva il convento di S. Paolo Maggiore a Napoli.
 

Nonostante fosse ormai 46enne, il 25 gennaio 1557 lasciò definitivamente l’attività giudiziaria ed entrò nell’Ordine dei Chierici Regolari (Teatini) prendendo il nome di Paolo. Benché avesse chiesto di essere fratello laico, ritenendosi degno solo di questo, la Grazia di Dio attraverso il p. Marinoni, lo conquistò al sacerdozio, e ricevette l’ordinazione il 26 marzo 1558.
 

Riuscì a rifiutare i vescovadi di Castellammare, di Crotone, di Brindisi, ma il 23 luglio 1568 il Papa san Pio V lo nominò vescovo di Piacenza, dove il beato rivelò tutta la sua grandezza di organizzatore ecclesiastico e di maestro di spiritualità. Il 23 luglio 1568 in pubblico Concistoro, il Pontefice lo creava cardinale e nel 1576 papa Gregorio XIII, suo antico maestro a Bologna, lo trasferiva alla cattedra arcivescovile di Napoli, dove ebbe a confrontarsi con una realtà più vasta e dura da modellare. Dovette prendere anche provvedimenti molto dolorosi: chiuse il seminario e mandò tutti a casa, perché né gli studi né la disciplina, né il comportamento erano quelli richiesti dalle disposizioni conciliari; nominò nuovi professori e rettore; ebbe il coraggio di chiudere monasteri femminili diventati comodi e scandalosi alberghi delle figlie della nobiltà. E soprattutto diede l’esempio di una vita santa e apostolicamente impegnata con ogni dedizione. Pubblicò nel 1577 un “Catechismo per i sacerdoti” e iniziò ad applicare le direttive del Concilio di Trento, ma la sua opera non poté estendersi e soprattutto non né poté vedere i frutti: le malattie che lo affliggevano e l’età avanzata lo portarono alla morte ad appena due anni dopo la sua investitura a Napoli. 
 

Morì il 17 giugno 1578 e il suo corpo riposa nella cripta della Basilica di S. Paolo Maggiore di Napoli, accanto a quelli di san Gaetano da Thiene, del beato Marinoni e di altri venerabili teatini.