San Filippo Neri, pazzo di Dio

In occasione della chiusura dei festeggiamenti del V Centenario della nascita di San Filippo Neri, trasmettiamo l’articolo di Mons. Edoardo Aldo Cerrato CO, vescovo di Ivrea, pubblicato oggi su L’Osservatore Romano.

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Si chiudono le celebrazioni del quinto centenario della nascita di Filippo Neri

Pazzo di Dio

di Edoardo Aldo Cerrato, Vescovo di Ivrea

Il 21 luglio dello scorso anno si aprivano a Firenze le celebrazioni del quinto centenario della nascita di san Filippo Neri, festeggiato dalla Congregazione dell’Oratorio, nel corso di questi dodici mesi, con uno stile di sobrietà ispirato alla semplicità del santo che è stato “straordinario” solo nel modo in cui ha affrontato e vissuto l’ordinaria esistenza, da laico per trentasei anni e prete per i restanti quarantaquattro. Semplice, non per “strategia”, ma per effetto di una solida convinzione: quella che, condita di sano umorismo, induce a guardare la realtà e ad abbracciarla con passione, ma con il distacco, l’evangelica povertà di spirito, che nasce da un vero attaccamento a Dio. Christifidelis al punto che «chi vuol altro che non sia Cristo non sa quel che si voglia» era diventato il ritornello incessantemente ripetuto e del quale la vita vissuta svelava le profondità e l’ampiezza.

Non sono mancate nel corso dell’anno centenario, accanto a quelle religiose, manifestazioni culturali di valore: il convegno sulla «Lauda filippina», per esempio, iniziativa della congregazione e del Pontificio istituto di musica sacra. O pubblicazioni: tra le riedizioni, la Vita di San Filippo Neri dell’oratoriano cardinale Alfonso Capecelatro, o la traduzione in tedesco della Scuola del gran maestro di spirito, San Filippo Neri di Giuseppe Crispino. Tra le nuove, un libro di piccolo formato e di esigua mole (trentotto pagine, cinque delle quali di immagini) opera di Simone Raponi, un giovane dell’Oratorio di Roma. Sei capitoletti che delineano un avvincente ritratto di san Filippo Neri, il “pazzo di Dio”, come è detto fin dal titolo, con un genitivo di cui al termine della lettura si svela chiaramente il valore: un pazzo che appartiene a Dio, o un uomo che è “pazzo di Dio”? Il profilo di Filippo che emerge è completo.

La brevità nulla sottrae al contenuto, ricco di riferimenti anche alla storia e alla cultura. Con grande finezza l’autore coglie l’essenziale e lo comunica con una limpida scrittura che rende gradevole la lettura. Filippo Neri c’è tutto in queste sei “pennellate” di vivo colore: la serenità del riformatore; la gioia del discepolo; la libertà dell’uomo; la sapientia cordis del maestro; la genialità del fondatore; la “follia” del mistico. «L’amministrazione dei sacramenti e la promozione del culto sacro saldate al desiderio di perfezione nelle virtù e alle pratiche di pietà e orazione sono i capisaldi su cui si innesta l’opera di Filippo, vero e proprio protagonista della penetrazione della Riforma di Trento nel vivo tessuto della società romana. Tuttavia, costituisce cifra specifica della sua attività la mancanza dei rigori di certe misure riformiste estranee al sentire di Filippo, la cui gioia e allegria, nonché la delicatezza del tratto, pervadono tutto l’apostolato, in particolare con i giovani figli spirituali. (…) 
 

La gioia di Filippo è gioia “creduta” perché infusa dallo Spirito ed esige pertanto umiltà e rendimento di grazie. Lungi dal riso sardonico o dall’esaltazione psicologica, si configura quale vero e proprio bene “di fede”, nonché acutissima penetrazione del senso profondo del Vangelo. Del tradizionale trinomio cristiano “abnegazione-rinuncia-distacco” Filippo suggerisce la meta che possiamo ben esprimere con le parole che Virgilio rivolge a Dante: “Perché non sali il dilettoso monte / ch’è principio e cagion di tutta gioia?” (…) Una visione irenica della libertà umana — ancorché velata da una certa inquietudine — è quella proposta da Pico della Mirandola nel suo Discorso sulla dignità dell’uomo.

L’evangelizzazione che Filippo realizza nell’Urbe è improntata all’esercizio graduale e positivo del riconoscimento della natura della propria libertà. Esso si dispiega, confortato dalla grazia dello Spirito, col vivere la libertà umana quale progressiva dipendenza dalla libertà assoluta che non si pone nell’esteriorità, bensì alla radice interiore del nostro stesso essere. (…) Per Filippo la vita dello spirito deve dispiegarsi in un rapporto personale, e insieme sacramentale ed ecclesiale, con Dio mediante la conformità a Cristo. La follia del santo appare come l’epifania del piacere estremo per Dio, cioè dell’agostiniana delectatio victrix che trionfa “sovversivamente” sul dovere: amare follemente Dio in vista di una pienezza di vita e non della soddisfazione di aver assolto un compito». Sono alcuni squarci del testo che richiede quindici minuti di lettura e consente giornate di riflessione.