Nella domenica di Passione il P. Procuratore Generale ha predicato il ritiro in preparazione alla Pasqua per i fedeli della Chiesa Nuova. Riportiamo il testo della meditazione.
1. Con il salmo 41 abbiamo iniziato questo momento di preghiera e di meditazione: La mia anima ha sete di Dio, del Dio vivente.
Nell’uomo vi è una inestinguibile aspirazione, una inestinguibile nostalgia di infinito… Basterebbe la più alta letteratura mondiale, e quella italiana in particolare, a documentarlo: anche gli autori che non sono credenti, i quali, in molti casi, ancor meglio che i credenti lo documentano, perché il loro grido è ancor più drammatico… Tra questi (per gli italiani basterebbe citare Leopardi) ricordo i versi di un poeta svedese ateo, nobel della letteratura, Pär Lagerkwist: “Uno sconosciuto è mio amico, uno lontano, lontano, che io non conosco. Chi sei tu che colmi il mio cuore di nostalgia, che colmi tutta la terra di nostalgia?”… All’uomo nulla basta pienamente. In lui c’è sempre un vuoto che grida il bisogno di qualcosa di più… E’ Dio che l’ha fatto così, con questa sete dentro, e questa sete è sete di Lui, del Creatore, di una Persona infinita che ha un “volto”… Quando vedrò il Suo volto? prega il salmista… Perché l’infinito che l’uomo cerca è quello che corrisponde al suo essere “persona”, quindi un infinito-Persona, una Persona infinita, che abbia un volto, a cui si possa dire “Tu”… Non si può dire “Tu” all’universo fisico, pur così affascinante ma muto… L’uomo per sua natura attende (ad-tendere), perché l’uomo è tutto un desiderio… “Forse qualcuno ci ha promesso qualcosa? E allora perché attendo?” si chiede Pavese (un altro autore drammaticamente non credente, che muore suicida in una camera d’albergo di Torino)…
La ragione umana è esigenza di infinito! “Nelle cose che dopo lungo desiderio si ottengono, gli uomini non trovano quasi mai né la giocondità né la felicità che prima avevano immaginato” (Francesco Guicciardini).
«L’uomo supera infinitamente l’uomo», dice Pascal e aggiunge: «L’ultimo passo della ragione è riconoscere che c’è un’infinità di cose che la sorpassano».
Tutto nella vita coopera a attutire questo bisogno fondamentale dell’essere umano… Allora, anche questo momento di distacco dalle tante altre cose che in una domenica pomeriggio avremmo potuto fare, è innanzitutto per risvegliare dentro di noi questa sete… ed è per farci “salire alla Pasqua” in modo più consapevole.
Domenica prossima – con in mano i rami di palme e di ulivo – entreremo a Gerusalemme con Gesù per rivivere quei tre giorni specialissimi, il Triduo pasquale, nei quali la Liturgia rende presente tutto ciò che Cristo ha vissuto “propter nos homines et propter nostram salutem”: non come una commemorazione di ciò che è avvenuto 2000 anni fa, ma come una autentica re-presentatio, il “rendere nuovamente presente” quei fatti: Coena Domini, il Giovedì santo; Azione liturgica della Passione e morte del Signore, il Venerdì; e poi, al termine del grande giorno di silenzio, il Sabato santo privo di ogni celebrazione, la Veglia pasquale, nella notte tra il sabato e la domenica…
Quello che rivivremo è la Pasqua del Signore, ma è fondamentale ricordare che la Sua è anche la Pasqua nostra, la possibilità reale, per noi, di vita davvero nuova! Reale: cioè effettiva possibilità di una novità che scatta nella nostra esistenza…
Penso che sia bene soffermarci proprio su questo punto, perché la nostra vita di ogni giorno sembra contraddire il fatto che davvero scatti una novità dentro la nostra esistenza… Ci vediamo sempre uguali, con gli stessi difetti, gli stessi problemi, le stesse difficoltà nel seguire il Signore, e ci sembra che nulla cambi lungo il correre del tempo…, e allora si può correre il rischio di pensare che questo annuncio di novità di vita sia un bell’annuncio poetico, una bella favola… bella, ma favola…
La vita nuova che ci viene donata non è nuova perché il peccato, il limite, scompaiono dalla nostra esistenza, e la fragilità e le debolezze siano eliminate dal nostro essere e dal nostro agire…
La definitiva liberazione sarà realizzata solo in Paradiso… Quaggiù anche i Santi che veneriamo sui nostri altari si confessavano riconoscendosi peccatori, e lo erano, in verità! Nessun uomo è senza colpa! E proprio il riconoscere che siamo peccatori costituisce la condizione indispensabile per essere perdonati e redenti!
Nuova, dunque, la nostra vita non perché scompaia da noi il peccato… La novità che scatta nella nostra vita è il fatto che la redenzione è in atto, e nella Pasqua questa realtà si manifesta in modo straordinario: il Signore ci accoglie nel Suo abbraccio salvifico, così come siamo; ci accoglie nell’umano che noi gli consegniamo, e ci rende capaci di guardare i nostri limiti (di guardarli senza nasconderli a noi stessi e a Lui), di guardare allo stesso modo i limiti altrui, ma con la serenità di chi è certo di essere guardato con amore: certi che Egli ci guarda con un amore, una compassione infinitamente superiore ai nostri limiti e alla nostra stessa malvagità.
E’ commovente lo sguardo di Cristo che si posa su Zaccheo arrampicato sul sicomoro, o lo sguardo che Gesù rivolse un giorno alla donna samaritana…
Il vangelo è pieno dello sguardo di Gesù sui peccatori… Basterebbe citare ciò che accadde a Pietro nella notte del tradimento…: tre volte lo aveva rinnegato in quella notte e Gesù, passandogli davanti, ormai condannato, lo guardò… Non una parola di rimprovero…: solo quello sguardo così carico di amore da indurre Pietro a piangere amaramente e a riscattarsi pienamente mediante quel pianto… Nella stessa notte, poco prima, anche a Giuda che arrivava nel Getzemani con i soldati per catturarlo e lo baciava per indicare chi fosse, Gesù ancora rivolse quello sguardo, e il suo sguardo era sostanziato di quella parola, “Amico!”, che non è un’ironia, ma l’espressione del Cuore di Cristo di fronte al peccatore… Giuda – a differenza di Pietro – non seppe aprire il suo cuore e corse ad impiccarsi… Il tradimento, anche se con modalità e con esiti diversi, era lo stesso…: era tradimento e quello di Pietro e quello di Giuda, e Gesù li guardò con lo stesso amore… Giuda non poteva ormai rimediare…; ormai aveva indicato ai soldati chi era Gesù; non poteva più sottrarsi a quanto aveva fatto, ma la porta della salvezza rimaneva aperta anche per lui nello sguardo e nella parola del Signore… Se Giuda avesse pianto amaramente – come Pietro – avrebbe potuto anch’egli dire a Cristo – come fece Pietro dopo la risurrezione – “Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo”!
Se tutto questo vale per quegli uomini e quelle donne, in quel tempo, perché non dovrebbe valere per noi oggi? E’ la stessa storia, la storia di sempre!!
L’incontro con Cristo avviene dentro alla nostra umanità, che è fatta di bene e di male, di riuscite e di sconfitte… Ed è dentro a questa nostra debole carne che sorge la novità della Pasqua, il dono della salvezza! … Questo dono – di cui Egli aveva parlato alla samaritana: “se conoscessi il dono di Dio”! – è la vita nuova: non un’illusione, ma una realtà che accade ed accade non per forze nostre, ma per la forza d’amore di Colui che mai si arrende di fronte al nostro peccato, alle nostre debolezze, ed è sempre disposto a ricuperarci alla vita!
La salvezza è una Presenza: come fu per la Madonna davanti al Bambino che era uscito da lei: un rapporto che le riempiva il cuore e il tempo. Dio è diventato uomo per ognuno di noi. Non siamo più da soli con il nostro niente. Cristo è qualcosa che mi sta accadendo.
Quando accogliamo Gesù Cristo nella nostra vita e lo accogliamo davvero, non solo sentimentalmente, emotivamente, ma lasciandoci “afferrare” da Lui nella concretezza della nostra esistenza, delle circostanze, delle situazioni spesso faticose della vita, lasciandoci afferrare come dice s. Paolo: comprehensus sum… mi protendo nella corsa per raggiungerlo, io che già sono stato afferrato da Cristo…, noi sperimentiamo che cos’è il senso della vita, il senso di ciò che facciamo, di ciò che viviamo, dei cambiamenti che ci sono richiesti… E comprendiamo che CARITA’ è vivere ogni cosa nella comunione con Lui… La carità è la modalità con cui si vive tutto, condividendo la vita degli altri sopratutto nel loro bisogno che, come il nostro, è una ferita attraverso cui l’altro chiede aiuto, magari inconsapevolmente. Attraverso questa ferita noi entriamo in punta di piedi nella vita d altro, non come “salvatori”, ma per rendere presente l’unico vero Salvatore!
La carità verso i fratelli nasce dal desiderio di condividere con essi la salvezza che noi abbiamo incontrato, riconoscendo che Cristo ha scelto quei fratelli – quel fratello – come il luogo in cui Egli ci chiama ad incontrarlo
2. Vorrei proporvi con un brano del vangelo di Giovanni (12,1-8), ciò che accadde a Betania, poco fuori di Geruselemme, “sei giorni prima di Pasqua”…
Gesù è a cena in casa di Lazzaro risuscitato da morte e delle due sorelle di lui, Marta e Maria: sono gli amici di Gesù, quelli nella cui casa Egli sostava quando si trovava a Gerusalemme. Paolo VI chiamò Betania “la casa dell’amicizia”…
Maria compie un gesto “spropositato”: versa sui piedi del Maestro un unguento prezioso che valeva 300 denari, come osservò giustamente Giuda; un prezzo altissimo: il salario di un operaio per 300 giornate di lavoro (ricordate la parabola di Gesù?)… Ma è “spropositato” il gesto di Maria? Gesù lo avrebbe detto, Lui così attento ai poveri, e invece dice: “Lasciala fare. I poveri li avete sempre con voi, ma non sempre avete me”… Notate il tempo di questi verbi: è il presente…Riguarda il presente non il futuro: non sempre avete me ora, in questo momento in cui io sono con voi!! Perché non lo “abbiamo”? Non perché Egli non c’è, ma perché noi non comprendiamo chi Egli sia davvero per noi! Se lo comprendissimo, non ci faremmo problemi a darGli tutto, a centrare tutto su di Lui… Tutto quel nardo preziosissimo il cui profumo “riempie la casa” è il segno di che cosa Gesù rappresenta per Maria…, il segno che per lei Gesù vale tutto! E se non vale tutto, vale poco o niente, come sarà per Giuda che lo venderà per 30 denari, un mese di salario, 10 volte di meno di quello che Maria aveva speso per profumarGli i piedi…!
Conosciamo Maria anche attraverso il vangelo di Luca (10, 38-42): Gesù è a casa loro e Maria sta accovacciata ai suoi piedi per ascoltarlo, mentre Marta era “tutta presa dai molti servizi” e andò a dire a Gesù: “Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciato sola a servire?”…
La risposta di Gesù…: “Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose…”.
Quando, di fronte a questo episodio, sfoderiamo il “buon senso” dicendo che Marta, però, si dava da fare per preparare il pranzo per il Signore… e meno male che c’era lei perché altrimenti Gesù non avrebbe pranzato…; oppure, quando cerchiamo di elevare religiosamente il discorso dicendo che Maria sì, lei ha capito che l’ascolto della Parola di Dio è superiore ad ogni altra cosa…, in fondo, quello che si manifesta è che conosciamo poco Gesù Cristo e quindi anche il cristianesimo.
La questione non è che Marta lavori e che Maria, invece, stia ai Suoi piedi ad ascoltarlo.
La questione è che cosa io cerco, che cosa desidero: “Quid quaeritis? Che cercate?”, la domanda di Gesù a Giovanni ed Andrea, i primi due che lo seguirono; la domanda che sempre Egli rivolge ad ogni uomo, ad ogni donna che incontra: qual è il desiderio del tuo cuore?
“Una cosa sola è indispensabile” dice Gesù a Marta. E questa cosa indispensabile è ciò per cui vale la pena di vivere ogni cosa della vita, pesante o leggera che sia, piacevole o dura. Questo “unum necessarium” è il senso del mio vivere nelle circostanze e nelle situazioni di ogni giorno.
Che cos’è la mia umanità, il mio essere uomo o donna?
Qui sta il “problema”, nel senso etimologico di questa bella parola greca: ciò che mi è messo dinanzi, fin dal momento in cui vengo al mondo ed entro nell’esistenza.
Che cos’è la mia umanità?
Dio si è fatto uomo perché io possa rispondere adeguatamente a questa domanda; e la salvezza che Egli mi offre è il farmi entrare in questa umanità prendendo sul serio, fino alle estreme conseguenze, il progetto di Dio che crea l’uomo ad immagine e somiglianza Sua, capax Dei, capace di accogliere Dio; questo progetto è una vita biologica, psichica, spirituale da vivere in comunione con la vita di Dio, con Dio, poiché solo così io sono uomo: Dio in ogni cellula del mio corpo, in ogni palpito del mio cuore, in ogni fibra della mia psiche, in ogni atto della mia ragione; Dio, desiderio del mio essere creato, Dio che entra nei confini di questa “concavità” che io sono, fatta apposta per accogliere l’immensità!!
Il “cuore dell’uomo”, l’abisso che mi costituisce, è questo desiderio; e la risposta che Dio mi dà nella persona di Gesù Cristo Uomo-Dio è l’unica risposta (non “la più grande”, “la più bella”, “la più nobile”, ma l’unica!) che davvero appaga e che, per questo, è anche la più grande, la più bella, la più nobile. Unum necessarium dice Gesù: l’unica cosa indispensabile.
Provare questo desiderio – ascoltarlo gorgogliare dentro, talvolta persino attraverso la “malinconia” che le cose, anche le più belle, lasciano in noi quando terminano – e afferrarlo e lasciarsi afferrare da esso è – diciamolo con Leopardi – “il segno più grande della nostra dignità di uomini”.
La questione dunque non è se preparare il pranzo o non prepararlo… Certo che va preparato! La questione è il cuore che ti porti dentro mentre prepari il pranzo, mentre leggi il giornale, mentre fai il tuo lavoro, mentre soffri la tua malattia, mentre i figli ti danno problemi, mentre la vecchiaia ti rallenta il passo e ti sottrae forze fisiche, mentre guardi i tuoi successi e i tuoi insuccessi… mentre vivi tutto ciò che stai vivendo, lieto o doloroso che sia.
La questione è il tuo cuore “mentre”, non “dopo”, perché non c’è un “dopo” se non c’è un “oggi” vissuto qui sulla terra: è questo “oggi”, questa vita presente, che si dilata all’eternità in Paradiso! Il Paradiso non è “altra cosa”: è la stessa cosa che raggiunge la sua pienezza di pace e di beatitudine! Come il sole dell’alba, con la sua tenue luce, e quello del mezzogiorno è lo stesso sole.
“Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose…”.
E’ come se Gesù le dicesse: Stai ascoltando il tuo cuore, il desiderio che dentro di te grida il bisogno di una pienezza che tu non hai e non puoi darti? Vieni a me, mentre prepari il pranzo. Non tralasciare di prepararlo, ma lascia palpitare il tuo cuore, come fa Maria in questo momento… Non importa quel che stai facendo: importa se stai ascoltando il tuo cuore e desiderando l’unica cosa indispensabile. La tua agitazione è il segno che hai perso il tuo cuore.
Gesù Cristo è la pienezza grazie alla quale anche l’atto più semplice della giornata acquista un valore infinito, perché è abitato dall’eternità!
“Maria ha scelto la parte migliore” significa questo! Significa che Maria ha capito l’essenziale e lo vive!
Una sola parola potrebbe riassumere tutta la pagina evangelica: Sii uomo, sii donna, sii felice di essere uomo, di essere donna, ché per questa felicità Dio ti ha creato e si è fatto uomo per renderla possibile e per viverla con te!
3. Saliamo verso la Pasqua! Non verso un rito (i bellissimi riti del Triduo pasquale!), ma verso ciò che essi esprimono per la nostra vita di ogni giorno, ciò che essi ci offrono per la vita di ogni giorno!
Sia Lodato Gesù Cristo!