Trasmettiamo l’omelia di Mons. Edoardo Aldo Cerrato C.O. pronunciata in S. Maria in Vallicella nella S. Messa di apertura dell’Anno Giubilare per i 500 anni dalla nascita di San Filippo Neri.
Omelia nella solennità di S. Filippo Neri
Roma, S. Maria in Vallicella, 25 Maggio 2015
Reverendissimi Padre Delegato della Sede Apostolica, Padre Procuratore Generale e Padre Preposito della Congregazione di Roma, Carissimi Fratelli e Sorelle tutti, sia lodato Gesù Cristo!
1. E’ a Lui, al Signore Gesù, che noi innalziamo la nostra lode in questa solennità di san Filippo nostro Padre, della cui nascita si aprono oggi ufficialmente le celebrazioni del quinto centenario.
Vent’anni fa, all’apertura di un altro centenario di Padre Filippo, il quarto dalla sua morte, ero qui, neoeletto Procuratore Generale; oggi ho la grande gioia di vivere l’inizio del nuovo, sull’onda di tanti ricordi… e sento di poter dire, come scrisse un grande figlio di Padre Filippo, mandato vescovo ad Avignone: «…Anchorchè io sia per tanto spatio di paese assente, mi ritrovo [nella famiglia oratoriana] con la fede et amor verso il mio caro Padre».
Mentre risuonano le parole del Signore, ascoltate poco fa nel Vangelo (Gv. 15,1-8): «Io sono la vite, voi i tralci. Rimanete in me e io in voi. Senza di me non potete far nulla», Padre Filippo, ancora una volta, ci invita a guardare a Cristo e ci ripete: «Chi vuol altro che non sia Cristo non sa quel che si voglia, chi cerca altro che Cristo non sa quel che dimandi, chi fa e non per Cristo non sa quel che si faccia»?
Sta qui, in questa salda convinzione che lo sostenne per tutta la vita, la ragione di ogni sua scelta, di ogni palpito del suo cuore; la ragione profonda del suo uscire e del suo abitare, del suo annunciare, educare e trasfigurare, per dirlo con i termini del Convegno che le Chiese d’Italia celebreranno, proprio a Firenze, nel prossimo novembre.
2. La vita di Filippo è una stupenda realizzazione di fedeltà a Cristo proprio in questo uscire e abitare, in questo annunciare, educare e trasfigurare.
Vide la luce in Firenze, il 21 luglio 1515. Divenne romano e “Apostolo di Roma”, ma senza rinunciare alla sua “fiorentinità”, come testimonia un discepolo: «Sì come egli era fiorentino, così haveva caro che gli altri sapessero ch’ei fusse», e come scrive Giovanni Papini: «Filippo deve la sua originalità, e quasi unicità, la sua fisionomia riconoscibile fra tutte quelle di tutti i Santi del mondo, all’impronta incancellabile della sua nascita fiorentina. San Filippo è un ragazzo fiorentino che, per l’intervento soprannaturale d’un amore immoderato per Cristo, s’è innalzato fino ai vertici della santità, rimanendo in parte quel che era, cioè fanciullo, faceto e oltrarnino».
Lasciò Firenze diciottenne, inviato dal padre a Cassino a far fortuna presso un ricco parente che gli offriva considerevoli possibilità; lasciò anche Cassino, poco dopo, e giunse a Roma ventenne, dove, per mantenersi con il minimo indispensabile, fece il precettore nella casa del capo della Dogana, mentre seguiva alla “Sapienza” corsi di filosofia e nello Studium degli Agostiniani quelli di teologia. Lasciò anche quegli studi e non per scarso interesse (ne portò il gusto per tutta la vita), ma «ut vocantem Christum sequeretur» scrive, con mirabile sintesi, il primo biografo: per seguir Cristo che lo chiamava.
Non pensava al sacerdozio: diventerà prete a trentasei anni, e «per mandamento del suo padre spirituale»; la vocazione che sentiva era la chiamata ad una intensa adesione a Cristo nel mondo, abitando la città con i suoi problemi e bisogni, amandola nella realtà del presente e del suo passato: pregava, soprattutto di notte, davanti alle chiese, in compagnia dei tanti poveri che vi sostavano; di giorno, la preghiera nelle basiliche e l’adorazione eucaristica – una passione che segnò tutta la sua vita – accompagnava e nutriva il servizio ai malati poveri negli ospedali; senza preordinati programmi, passando per le strade «si accostava alla spicciolata, ora a questo ora a quello» scrive il Bacci ed aggiunge: «Tutti diventavano presto suoi amici». Suscitava stupore la sua bella umanità, la freschezza del suo invito: «Beh, fratelli, quando volemo cominciare a far il bene?». L’attrazione nasceva spontanea: si percepiva che quel giovane simpatico e lieto viveva con Cristo un rapporto che plasmava la sua umanità.
L’Oratorio, che avrebbe preso forma con l’ordinazione sacerdotale, in questo annunciare ha le sue radici. «Inventione»fu detto da coloro che ne sperimentavano la novità. Ma ad attirare – in quella proposta di preghiera semplice e fervorosa; di dialogo familiare sulla Parola di Dio accolta nella Scrittura, nella vita dei Santi, negli scritti spirituali; di laudi nella lingua parlata, ricche di verità di fede e del calore del sentimento; di liete passeggiate verso una basilica o nell’agro romano; di umile servizio ai poveri negli ospedali e nelle loro case – era la sua persona, la ricchezza interiore di Filippo, la gioia cristiana di cui l’«Apostolo di Roma» fu ed è «profeta», come disse san Giovanni Paolo II quando sottolineò che «l’intento di san Filippo fu di rispondere fedelmente, in modo originale e coinvolgente, alla missione di sempre: condurre l’uomo all’incontro con Gesù Cristo, realmente presente nella Chiesa e “contemporaneo” di ogni uomo» e indicò il fine ed il metodo dell’Oratorio nel «favorire un personale incontro con Cristo, testimoniando la bellezza di un simile incontro».
Volere Cristo in ogni cosa, cercarlo in tutto e fare tutto per Lui non era per Filippo una formula per anime speciali: era semplicemente la via evangelica su cui tutti potevano camminare: giovani e adulti, di ogni condizione, chiamati a diventare, nell’incontro con Cristo, persone libere e vere, capaci di relazioni mature; persone di comunione, capaci di dialogo, di accoglienza.
Riuscì uno splendido educatore, capace di seguire personalmente la crescita dei suoi amici e discepoli, di valorizzare, in modo così moderno, la loro coscienza e la loro libertà. Un padre. «Solamente si lassava chiamar Padre perché questo sonava amore» ricordano i discepoli. Ha ragione Guzmán Carriquiry a dire: «La persona cresce nella sua umanità soltanto se incontra una testimonianza più grande di se stessa, una paternità, una presenza straordinaria che le indichino il cammino di crescita, i crocevia della propria libertà, le esigenze della responsabilità, senza restar irretita nei propri limiti, nelle proprie passioni e giustificazioni».
Attraverso il suo apostolato, animato dal più puro affetto per l’uomo concreto, non vagheggiato alla luce di un’ideologia, Filippo «cambiò il volto della Città eterna». Ma la radice di tutto è in quell’«amore immoderato per Cristo», in quella gioia di cui ci ha detto, poco fa, l’Apostolo (Fil. 4,4-9): «Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino! E la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù».
La gioia di Filippo nasce dal percepire che Gesù Cristo, presente ed accolto, salva tutto di noi, che nulla del nostro vivere rimane estraneo alla Sua forte e dolce amicizia nella quale trova risposta il nostro bisogno di essere nuovi dentro alle cose di ogni giorno, nei problemi e nelle fatiche, nelle sconfitte e nelle soddisfazioni della vita. E di qui nasce la pace che consente di vedere i problemi, di cercare le soluzioni e di affrontarli, ma semplificando le cose, smussando gli angoli, mitigando i conflitti.
Carissimi Fratelli e Sorelle,
nelle «cinque vie» proposte dal Convegno di Firenze chi davvero conosce Filippo Neri non fatica a vedere un appropriato schema della biografia del santo.
Laico per trentasei anni e sacerdote per i restanti quarantaquattro, egli le percorse in modo originalissimo, suscitandolo lo stupore testimoniato da tutti coloro che lo incontrarono e l’attrazione che, oggi come sempre, continua ad essere la via che porta all’incontro con Cristo.
Abbiamo iniziato elevando a Lui, al Signore Gesù, la nostra lode. Con la medesima lode concludiamo: Sia lodato Gesù Cristo!