A settembre è prevista nei programmi di Raiuno la messa in onda di un nuovo sceneggiato su san Filippo Neri realizzato dalla Lux Vide di Matilde Bernabei per Rai Fiction. Abbiamo chiesto a P. Edoardo A. Cerrato un commento alle dichiarazioni di Gigi Proietti rilasciate nel corso di un’intervista pubblicata oggi da un quotidiano: «… Un santo come San Filippo Neri, un personaggio straordinario, tutto da scoprire. Più simile a Socrate che a un dottore della Chiesa. San Filippo viveva in gioia e in letizia l’insanabile dissidio tra l’assoluto desiderio di sprofondare nella meditazione e nella preghiera e il bisogno prepotente di dedicarsi agli umili, ai malati, a chi era rimasto senza amici e senza risorse. Che non sono solo gli anziani, ma anche i ragazzi, i giovanissimi della scuola dell’obbligo. Tanto è vero che si deve a lui la creazione del primo oratorio».
Gigi Proietti – ci ha detto Padre Cerrato – è un attore che ho sempre, e molto, apprezzato; sono contento che nella nuova fiction su S. Filippo sia lui l’interprete del santo.
Posso dire innanzitutto – non avendo ancora visto, ovviamente, lo sceneggiato – qualche cosa sul titolo, che mi pare più azzeccato rispetto a quello della precedente fiction “State buoni se potete”, diretta da Magni, in cui padre Filippo era interpretato dal bravo Johnny Dorelli.
Più azzeccato non fosse altro perché la frase “State buoni se potete”, per quanto famosa, non risulta attribuita a padre Filippo da nessuna delle fonti filippine; e, ammesso che Filippo abbia pronunciato qualcosa che le somiglia, non si può dimenticare che l’espressione romanesca “statte bbono” significa: sta fermo, non agitarti; e non si riferisce affatto al comportamento morale, con relativo, sottinteso convincimento che “se non si può”… pazienza!
Filippo, nel film di Magni, è un simpatico educatore, dai metodi certamente apprezzabili, ma il piano su cui egli opera è puramente naturale… C’è, è vero, la costante presenza del male che, sotto forme diverse, tenta di intaccare la vita dei ragazzini, e c’è la vigile attenzione di Filippo che li difende, ma quest’uomo in talare di stracci – vistosa incongruenza storica rispetto allo stile povero ma dignitosissimo del fiorentino Filippo, che sempre ha amato la pulizia e il decoro – potrebbe anche non essere un prete… Lo si vede pregare una volta sola in tutto il film, e pure di sfuggita…, mentre Filippo storicamente è un contemplativo, un mistico, un sacerdote che ha svolto il suo ministero principalmente attraverso il sacramento della Confessione, e se, almeno una volta, nel film, lo si vedese in confessionale o all’altare, lo sceneggiato non avrebbe perduto nulla del buon umore che caratterizza questo film indubbiamente simpatico e non alieno da spunti di riflessione. Ricordo che ad un anziano confratello, il quale bocciava lo sceneggiato, un confratello più giovane disse: “A far conoscere San Filippo ha contribuito di più questo film che tutti i libri da Lei scritti”. Non ne dubito – rispose il vecchio padre – solo mi chiedo se è davvero San Filippo che è stato fatto conoscere”. E le motivazioni della sua valutazione non mancavano certo di fondamento.
Non è mai facile impresa rendere in termini cinematografici la sostanza della vita di un santo, e di un santo dalle numerose sfaccettature quale è Filippo Neri; tanto più se il film – come nel caso in questione – è programmato all’interno di una determinata serie.
“Preferisco il Paradiso” invece – il titolo della fiction ora in programma – se non alla lettera certamente nella sostanza padre Filippo l’ha detto: particolarmente in riferimento alla berretta cardinalizia tante volte offertagli e sempre rifiutata… Ci sono episodi gustosi, al riguardo, nelle fonti filippine…
Questo titolo, inoltre, lascia intendere – vedremo a suo tempo se così è – che di padre Filippo sia messa in evidenza anche quella dimensione religiosa, quella prospettiva di salvezza eterna che, francamente, non sono riuscito a cogliere nella simpatica fiction di Magni.
Le affermazioni di Gigi Proietti sono interessanti; soprattutto quella relativa a “un santo tutto da scoprire”.
Effettivamente padre Filippo è assai poco conosciuto; o meglio ne sono conosciuti alcuni aspetti che, slegati dall’intero contesto, rischiano però di fare di lui una macchietta, riducendo il personaggio a “buffone di Dio”, senza che sia compreso appieno neppure l’alto significato del termine “buffone”: il quale risale al titolo di una nota biografia inglese (Theodor Maynard) del santo, ma con preciso riferimento alla figura del buffone delle corti medievali, dove questo singolare personaggio era colui a cui incombeva comicamente il compito di dire delle verità che altri non potevano permettersi neppure di accennare…
Filippo Neri “è tutto da scoprire” proprio nella sua intera dimensione di uomo cristiano, e sottolineo i due termini; uomo: un patrimonio di ricca e bella umanità, che Filippo ha sempre preso estremamente sul serio, mai censurando nulla dell’umano che Dio ha creato e che ha consegnato all’uomo affinché in esso – dentro la “carne” per dirlo in termini biblici – avvenga l’incontro con Colui che porta l’umano alla sua pienezza. E cristiano, la condizione che permette all’uomo di dire, con san Paolo: “vivo non più io, Cristo vive in me e questa vita che io vivo nella carne la vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me”.
Dentro a questa fondamentale dimensione di umanità e di fede cristiana, inscindibile binomio, irrinunciabile impostazione per padre Filippo, si collocano tutti gli altri elementi che costituiscono l’opera – per usare le parole di Proietti, mutuate dal titolo di una bella biografia del Neri scritta da p. Bouyer – del “Socrate”: “Più simile a Socrate che a un dottore della Chiesa” : nel metodo pedagogico sicuramente, ma senza dimenticare che questo Socrate è un “Socrate cristiano” e che l’aggettivo è essenziale a rendere giustizia al sostantivo.
“San Filippo viveva in gioia e in letizia l’insanabile dissidio tra l’assoluto desiderio di sprofondare nella meditazione e nella preghiera e il bisogno prepotente di dedicarsi agli umili, ai malati, a chi era rimasto senza amici e senza risorse. Che non sono solo gli anziani, ma anche i ragazzi, i giovanissimi della scuola dell’obbligo. Tanto è vero che si deve a lui la creazione del primo oratorio” afferma ancora Proietti.
Se mi è consentita qualche osservazione – pur senza pretendere da Gigi Proietti la competenza del teologo o dello storico – direi che certamente Filippo è il “profeta della gioia cristiana”, secondo la sapiente definizione data da Giovanni Paolo II: e “profeta” – lo sappiamo – significa un uomo che parla a nome di Dio, per incarico da Lui ricevuto.
L’insegnamento di Filippo sulla gioia – più che con le parole – è stato abbondantemente trasmesso dal santo attraverso la testimonianza della sua vita vissuta in letizia, anche quando le circostanze si presentavano tutt’altro che piacevoli… La gioia di Filippo – manifesta nella sua costante letizia – è quella dell’uomo che tutto vive nella comunione con Dio, che lascia abitare da Dio anche il suo naturale buon temperamento, che accoglie Dio anche nelle situazioni di disagio, nelle “tristezze” che non dovettero mancare a Filippo se egli così spesso ne fa cenno… La tristezza è una realtà che coglie l’uomo – ogni uomo – quando egli percepisce di non bastare a se stesso, quando sente che nulla gli basta, neppure le cose più belle… “Tristezza e malinconia, fuori di casa mia!” – una tipica affermazione di padre Filippo – non è l’invito a “censurare” questa realtà, a bypassarla artificiosamente, ma a coglierla come provocazione di Colui che sempre chiede all’uomo di andare oltre, di scoprire il significato profondo della vita, l’“unum necessarium” di cui parla Cristo.
A questa luce, “l’insanabile dissidio – di cui parla Proietti – tra l’assoluto desiderio di sprofondare nella meditazione e nella preghiera e il bisogno prepotente di dedicarsi agli umili, ai malati, a chi era rimasto senza amici e senza risorse” risulta un elemento del tutto estraneo alla vita di padre Filippo. Il dissidio è insanabile nella mentalità dell’uomo di oggi, caratterizzata dalla “separazione”; ma Filippo è l’uomo dell’unità e il passaggio dalla “meditazione” alla “dedicazione” non è per lui lo sforzo di lasciar qualcosa per qualcos’altro…: è “lasciare Cristo per Cristo”, come egli diceva, e questo, sì, egli lo diceva proprio in questi termini. Per questo passava senza traumi dall’estasi orante all’esercizio del ministero, all’incontro con chi era “senza risorse”: spirituali, innanzitutto, ma anche materiali, poiché vale, anche qui, l’impostazione già detta: non c’è separazione; l’uomo è uno, carne e spirito.
“Che non sono solo gli anziani, ma anche i ragazzi, i giovanissimi della scuola dell’obbligo. Tanto è vero che si deve a lui la creazione del primo oratorio” afferma Proietti riferendosi a coloro a cui Filippo si dedicava.
Sarebbe più esatto dire, storicamente parlando: non solo i ragazzini (i giovanissimi della scuola dell’obbligo, detto in termini attuali), ma anche gli anziani… Meglio ancora: gli adulti.
Padre Filippo non fonda affatto l’Oratorio per i ragazzi ed i giovani, che pure gli erano carissimi e che non mancava di accompagnare al Gianicolo, talvolta, per giocare con essi “facendosi fanciullo con i fanciulli sapientemente”, come ancora ricorda una iscrizione posta accanto a quel che rimane lassù della “quercia del Tasso”…
L’Oratorio di Padre Filippo – basta vederne il programma nelle fonti documentarie – è una “scuola” di formazione per gli adulti: e che, fra questi, molti fossero i “giovani” non muta la realtà, dal momento che questi giovani o erano studenti a livello universitario o uomini già sposati e con figli, professionisti, uomini di corte, artigiani, piccoli commercianti, impiegati dei banchi (le banche del nostro tempo)…
L’Oratorio di san Giovanni Bosco che da quello di Filippo mutua il nome e da quello milanese di san Carlo l’impostazione, non è esattamente l’Oratorio di san Filippo, anche se e l’uno e l’altro hanno in Filippo un punto di riferimento.
Fare perciò di Filippo fondamentalmente “il prete dei fanciulli” – come fece Magni e come speriamo non abbia fatto questa nuova fiction – non rende giustizia al santo e ne snatura anzi la figura: anche nel caso che l’Oratorio dei fanciulli sia preso come metafora di quella impostazione tipicamente filippiana che è l’impegno evangelico a “diventare come i bambini” per entrare nel regno dei cieli…
Non c’è che da rallegrarsi che nel programma della “Lux” per Rai Fiction sia stata riservata attenzione ad un santo che ha inciso tanto profondamente sulla vita della città di Roma e che affermava: “Chi fa bene a Roma fa bene al mondo intero”.
Non ci risulta che a nessun Oratoriano sia stato chiesto un consiglio nel delineare il personaggio Filippo. Certamente non era indispensabile; ma forse di qualche utilità lo poteva essere.