Incontro Amici dell’Oratorio

In occasione dell’Incontro degli Amici dell’Oratorio della Federazione dell’Italia Settentrionale che si tiene quest’anno presso la Congregazione di Mondovì, il P. Procuratore Generale presiede la S. Messa nella chiesa oratoriana, che recenti lavori di restauro hanno riportato all’antico splendore. Ricordando che il prossimo anno, 2013, si compiranno quattro secoli dalla fondazione in terra piemontese della prima Congregazione filippina – Casale Monferrato –, traendo spunto dalla odierna festa dell’evangelista san Marco e dall’opera di evangelizzazione della Chiesa lungo i secoli, il p. Procuratore Generale, ha presentato nell’omelia la figura del ven. Giovanni Battista Trona, illustre membro della Congregazione Monregalese, le cui spoglie mortali si venerano nel sepolcro presso il presbiterio.

Omelia del P. Procuratore Generale


1. All’inizio della S. Messa, con le parole della Chiesa, abbiamo pregato: “O Dio, Tu hai glorificato il tuo evangelista Marco con il dono della predicazione apostolica”… 

Questa espressione mi ha colpito. 
Certamente, la predicazione apostolica di cui fu fatto dono a san Marco, trattandosi di un evangelista, è qualcosa di speciale, ma penso che, fatte salve le debite differenze, si possa dire che predicare il Vangelo glorifica chiunque lo compie. Sia perché è un incarico che viene da Cristo, tutt’uno con la chiamata ad essere Suoi discepoli; sia perché questo compito – non importa in quale forma si svolga: quella ufficiale di un prete in chiesa, o quella semplice di un cristiano nella vita di ogni giorno – preso sul serio, in tutta la sua valenza, comporta l’accoglienza in noi della Parola che annunciamo, una vera incarnazione del Verbo nella nostra vita. 

E’ questa la glorificazione che s. Marco ricevette quando dalla bocca di Pietro ascoltò il vangelo e quando lo annunciò anche attraverso lo scritto; ed è la stessa glorificazione che riceve ognuno di noi quando la nostra vita cambia conformandosi a Cristo. 

La nostra vita – pur non diventando perfetta, perché la perfezione non è di quaggiù se anche Padre Filippo sentiva il bisogno di confessarsi ogni giorno – cambia: cambiano le prospettive, gli orientamenti, il modo di affrontare le situazioni…; cambia il giudizio sulla realtà, lo sguardo sulle vicende e sulle persone; cambia lo sguardo su noi stessi, che spesso siamo per noi la maggior difficoltà, il maggior problema; cambia, almeno in questo: nella capacità di vedere che il problema sovente sono io, come diceva la b. Madre Teresa a quel giornalista che le chiedeva: quali sono i problemi della Chiesa?, e lei rispondeva: you and me: tu e io…!
La nostra vita cambia, pur nella fragilità che sempre ci caratterizza, …la fragilità che induceva anche madre Teresa a confessarsi ogni giorno… Ma è una fragilità redenta nel rapporto con Cristo, una fragilità che, per opera della Grazia, diventa essa stessa una eloquente predicazione!

La Parola di Dio che ascoltiamo e che siamo mandati ad annunciare, prima di essere un insegnamento, una dottrina, è una Persona; è Cristo stesso che ci parla, Cristo risorto, presente e vivo! Nella Liturgia, al termine delle letture, non diciamo “lode alla Parola di Dio”, ma “Lode a te, o Cristo”… Gli diciamo “Tu”, riconoscendo la Sua presenza!
La predicazione che ci glorifica è la nostra vita che lo accoglie e mostra ciò che la Grazia compie nel terreno che noi le prepariamo; mostra che il felice annuncio che portiamo non è un’utopia, ma qualcosa che realmente accade dentro la nostra esistenza.
L’arte – diceva uno storico della letteratura latina – ha bisogno di uomini commossi, non di uomini devoti. 
Penso che si possa dire la stessa cosa in riferimento all’arte delle arti che è il vivere cristiano! E la commozione di cui si parla non è un certo qual sentimento romantico, sia pur di natura religiosa: è il lasciarsi afferrare dal Salvatore che commuove, smuove, mette in movimento la nostra vita.
“Ut vocantem Christum sequeretur” dice il Gallonio presentando la motivazione che indusse Filippo a recarsi a Roma lasciando le prospettive di “roba” che aveva trovato a S. Germano: per mettersi al seguito di Cristo che lo chiamava; “agebatur potius quam ageret” dice a proposito delle Messe che Padre Filippo celebrava: si lasciava fare piuttosto che fare lui… 
E’ questa la commozione di cui ha assoluto bisogno l’arte del vivere cristiano e quindi della predicazione in tutte le sue forme: questo muoversi assecondando la voce ed i gesti, la presenza di Colui che ti muove! 
“Rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri […] riversate su Dio ogni vostra preoccupazione, poiché Egli ha cura di voi […] Resistete al diavolo, saldi nella fede” ci dice oggi il Signore, e l’accoglienza di questa sua parola è condizione per compiere l’incarico che ci ha dato: “Predicate il vangelo ad ogni creatura”. 

2. State “saldi nella fede”.
L’Anno della Fede sta per iniziare. Il Santo Padre Benedetto XVI nell’indirlo, a ricordo del mezzo secolo trascorso dall’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, scriveva: “Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali, politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio nel vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene persino negato […] Oggi una profonda crisi di fede ha toccato molte persone”. E tra gli impegni dell’Anno della Fede Papa Benedetto sottolinea l’importanza di riandare con amore ai nostri Santi, che della fede vissuta sono i grandi testimoni. 
Il nostro Incontro, cari amici, avviene quest’anno in una Congregazione dell’Oratorio, che è una delle 12 nate in Piemonte a partire da 1613 – il prossimo anno ricorreranno quattro secoli della presenza oratoriana in questa terra – e proprio su questa presenza, ricca di testimonianze preziose, vorrei fermare l’attenzione. 

L’Oratorio piemontese ha dato alla Famiglia Filippina diffusa nel mondo la straordinaria figura del beato Sebastiano Valfrè, “sorgente dei preti santi dell’800 torinese”; quella di un umile amico del Valfré, il p. Agnelli, dell’Oratorio di Savigliano, autore dei “Pregi della Congregazione dell’Oratorio” su cui, ovunque, si formarono generazioni di Oratoriani; ha dato il b. Giovenale Ancina, il ven Pier Francesco Scarampi, monferrino morto a Roma, come preposito della Casa romana, per aver contratto la peste nel servire generosamente il popolo colpito dall’epidemia. E nei tempi a noi più vicini, senza dimenticare tante altre belle figure di Padri e di Fratelli la cui memoria è conservata, con tradizionale discrezione piemontese, nel cuore delle tre Comunità ancora esistenti – il p. Felice Carpignano, dell’Oratorio di Torino, emulo del Valfré e consigliere di numerosi artefici della carità cristiana del suo tempo, alcuni già innalzati alla gloria degli altari; il servo di Dio p. Giulio Castelli, anch’egli di questo Oratorio, uno dei più fervidi esponenti del “movimento di unione” da cui nacque la Confederazione. 
 

Di tutte queste splendide figure che esaltano la bellezza della spiritualità filippina e l’umile grandezza dell’apostolato oratoriano, il ven. Giovanni Battista Trona, che riposa qui, in questa chiesa, riflette qualche raggio di luce. 
 

C’è in lui l’uomo di preghiera che tutti essi furono, l’apostolo instancabile, il generoso artefice di carità, il consigliere di sicura intelligenza spirituale, l’innamorato della Parola di Dio ascoltata e donata nella più semplice familiarità filippina. 
 

C’è in p. Trona, come in tutti gli altri, la tenacia della gente piemontese; la verticalità del rapporto con Dio a cui sono richiamo, con la loro altezza, le montagne che abbracciano questa terra, tutta quanta distesa “ad pedes montium”, e la fraterna orizzontalità delle pianure in cui sfociano le valli, luogo del lavoro, dell’impegno che non cerca sconti. 
 

La sua grande figura ha varcato i confini del Piemonte grazie al “Catechismo” da lui composto e al quale attinse quello di San Pio X, ma è soprattutto la sua vita ciò che ancora ci parla e ci mostra che cosa significa che la predicazione glorifica il discepolo. 
 

Nato a Frabosa Soprana il 18 ottobre 1682, Giovanni Battista Trona trascorse una fanciullezza segnata da povertà e da stenti, rattristata dalla morte prematura del padre; trascorse l’adolescenza segnato dal dramma di aver dovuto assistere, a tredici anni, all’uccisione della madre, di fronte al quale reagì con fede perdonando l’assassino e, in seguito, addirittura beneficandolo.
 

Ordinato sacerdote il 19 settembre 1705, acceso dal desiderio di diffondere il Vangelo, si propose di partire missionario, ma obbedì al Vescovo che lo invitava ad entrare in questa Congregazione, istituita a Mondovì l’anno precedente. 
Qui p. Trona si prodigò per l’istruzione del popolo e la riforma del clero; contribuì alla pacificazione degli animi e ad alleviare le sofferenze dei poveri, specialmente in occasione delle guerre di quel periodo. 
Predicatore instancabile, percorse le zone più impervie della diocesi, distinguendosi soprattutto nell’apostolato catechistico, rivolto a tutte le categorie e le età.
Oltre al suo catechismo, lasciò anche un “Trattato sulle tre virtù teologali” spiegate al popolo. 
Ebbe carissimi i giovani e si dedicò ad essi anche come direttore spirituale delle Regie Scuole di Mondovì.
La sua vita di annunciatore della Parola di Dio non poteva che concludersi su uno dei “tre legni” che la tradizione filippina indica come luogo desiderabile da cui spiccare il volo per l’incontro definitivo con Dio: il 13 dicembre 1750 p. Trona chiuse la sua esistenza terrena facendo il catechismo ai fanciulli nella casa dell’Oratorio.

Cari amici, con gli occhi aperti su questi grandi condiscepoli che percorsero la via dell’Oratorio, chiediamo al Signore, in questa S. Messa, che avvenga anche in noi ciò che avvenne in s. Marco e in essi: “Tu hai glorificato il tuo servo con il dono della predicazione apostolica”.
 

Tutto il resto è vanità, ci direbbe Padre Filippo!

Sia lodato Gesù Cristo!