Diamo notizia di due recenti pubblicazioni: una su san Filippo Neri e l’altra su un suo amato discepolo, il card. Federico Borromeo, che per l’affetto e la familiarità con il santo fu scelto ad amministrare a Padre Filippo il Viatico e ne raccolse le ultime confidenze:
– ULRIKE WICK-ALDA, Vom Weg zum reinen Herzen. Geistliche Unterscheidung in den Briefen und Maximen des Philipp Neri (1515-1595) in der Rezeption des Wüstenmönchtums und des Johannes Cassian. Ein spiritualitätstheologischer Beitrag zur theologischen Anthropologie, Fuldaer Studien, Verlag Joseph Knecht. Frankfurt am Main, 2010, pp. XI + 347
– PAOLO PAGLIUGHI, Il cardinal Federico Borromeo, Genova-Milano, Marietti, 2010, pp. XI + 275
Riguardo alla prima pubblicazione, formulando l’augurio di poterla presto vedere tradotta anche in altre lingue, diamo una sintetica presentazione:
(L’autrice con P. Michael Ulrich, C.O. Dresden)
La prima Dottoressa della Facoltà Teologica di Fulda – membro dell’Oratorio Secolare delle Congregazioni di Germania e già autrice di una ricerca sulle giaculatorie di San Filippo Neri (“Um gut zu beten braucht es den ganzen Menschen. Philipp Neri und die Spiritualität”, Münster, 2005) – ha dedicato la sua tesi di dottorato in teologia ai parametri della “discretio” nelle Lettere e nelle Massime dell’apostolo di Roma san Filippo Neri, come chiaramente risulta dal titolo dell’opera: “Dal cammino ai cuori puri. Il discernimento spirituale nelle Lettere e nelle Massime di Filippo Neri nella ricezione dei monaci del deserto e di Giovanni Cassiano. Un contributo teologico-spirituale all’antropologia teologica”.
Si tratta di un ampio lavoro – edito nella collana di studi della Facoltà Teologica di Fulda – la cui importanza risulta notevole per la teologia antropologica, come per gli studi sulla spiritualità oratoriana. In questa ricerca, condotta sotto la guida di S. E. R. Mons. Dr. Karlheinz Diez, vescovo ausiliare di Fulda, finora professore alla medesima facoltà, la nuova dottoressa ha inteso dimostrare come Padre Filippo ha attualizzato gli Apophthegmata degli antichi Padri del Deserto e la dottrina ascetica di Giovanni Cassiano. Sottolineando che fino a oggi la spiritualità di Filippo Neri è poco analizzata e lo è stata soprattutto in una prospettiva prevalentemente storica, la studiosa tedesca analizza il messaggio di Filippo padre spirituale che ha in una delle Massime del santo la più sintetica e potente sintesi: “Chi vuol altro che Cristo non sa quel che vuole, e chi vuole altro che Cristo non sa quel che domanda”.
In calce alla pubblicazione – costituita da quattro copiosi capitoli – sono riportate una cospicua rassegna bibliografica (pp.265-281) e le raccolte della Massime di san Filippo (pp. 284-347) conservate nell’Archivio della Congregazione di Roma [ACR, A. III, 9] e nella Biblioteca Vallicelliana [BV, O. 18].
(P. B. Wodrazka, C.O.)
Riguardo alla seconda pubblicazione – della quale riportiamo la prefazione di Dionigi Tettamanzi, tratta dall’Osservatore Romano del 30 gennaio 2010 – spiace constatare che in così ampia biografia del card. Federico Borromeo nessun cenno sia fatto al rapporto con san Filippo e i discepoli del santo nell’Oratorio Romano: rapporto che fu invece rilevante nella vita del cardinale e che è ben documentato anche dalla storiografia. Basti consultare A. CISTELLINI, San Filippo Neri, l’Oratorio e la Congregazione Oratoriana. Storia e spiritualità, Brescia, 1989, 3 tomi, pp. XII + 2437. L’indice dei nomi di persona (pp. 2341-2428), riporta a p. 2352 un’intera colonna di riferimenti a Federico Borromeo e i testi della prestigiosa opera cistelliniana relativi al cardinale sono ricchi anche di note documentarie; cui si aggiungono (pp. 2356-2357 del medesimo indice) quelli relativi al cardinale san Carlo e ad altri membri della famiglia Borromeo. Giova almeno ricordare, tra l’abbondante materiale, le pagine concernenti la nomina del giovane cardinale ad arcivescovo di Milano (pp. 961-962).
(E. A. Cerrato, C.O.)
di Dionigi Tettamanzi
Noi tutti abbiamo imparato a conoscere il cardinale Federico Borromeo dalle pagine de I promessi sposi. Fu uno “degli uomini rari in qualunque tempo” dice il Manzoni, aprendo il capitolo XXII del suo romanzo, ma soprattutto seppe sfruttare in maniera eccellente e virtuosa la sua “condizione privilegiata nella ricerca e nell’esercizio del meglio”. Condizione privilegiata! Proveniva da una delle più nobili famiglie lombarde dell’epoca, poteva vantare come suo predecessore il grande Carlo Borromeo che il popolo milanese già considerava santo e che Federico stesso andava continuamente proponendo come modello paradigmatico ed esemplare di santità; era stato avviato fin da giovane, proprio come Carlo, alla carriera ecclesiastica, la quale si era sviluppata in maniera fulminante fino a raggiungere, ad appena ventitré anni, il prestigio della porpora cardinalizia. Né gli mancavano mezzi economici, grazie ai quali, da vero mecenate rinascimentale, diede vita al suo “capolavoro”, la Biblioteca Ambrosiana ricca di preziosi codici e della sua stupenda quadreria.
Tale condizione di privilegio divenne per Federico occasione per esercitarsi nella ricerca del meglio, dice Manzoni, come di solito purtroppo non accade: se la sorte gli aveva riservato una situazione privilegiata, l’esercizio personale delle virtù seppe in qualche modo “far tesoro” di ciò che la sorte, o meglio la Provvidenza, gli aveva concesso, proprio come nella parabola evangelica dei talenti.
Sappiamo però che la figura di Federico Borromeo delineata dal Manzoni si colora di tratti “agiografici” e offre un’immagine del più grande arcivescovo di Milano del Seicento fortemente idealizzata. Come tutti gli esseri umani anche Federico aveva i suoi limiti, dovuti alla formazione personale, alla cultura del tempo, anche alle opinioni di un mondo ancora fortemente condizionato dalla credulità. Manzoni volutamente sottace questi aspetti problematici, o appena ne fa cenno, ma in maniera che non venga minimamente scalfita la grandezza di un personaggio che letteralmente giganteggia dalle pagine del romanzo.
È indubbio che un contributo notevole per un lavoro di questo genere sia stato offerto in questi ultimi anni dall’Accademia di san Carlo (ora Classe di studi borromaici presso la rinnovata Accademia Ambrosiana), la quale ha dedicato un notevole numero di tornate accademiche precisamente allo studio e all’approfondimento della poliedrica figura del fondatore della Biblioteca Ambrosiana. Infatti a partire dal 2001 la prestigiosa rivista “Studia Borromaica” ci ha offerto un progetto organico di approccio alla figura di Federico Borromeo, prima recensendo lo status quaestionis delle fonti sulla sua vita e la sua attività, nonché sull’interpretazione che della sua vita e della sua attività la storiografia ha finora dato, e poi rileggendo l’intera sua opera attraverso angolature complementari: Federico come uomo di cultura e di spiritualità; Federico come vescovo e pastore; Federico come principe e mecenate; senza dimenticare la sua committenza a livello di produzione architettonica, e soprattutto la fondazione della Biblioteca Ambrosiana, che proprio in questo primo decennio del 2000 ricorda il quarto centenario della sua ideazione, fondazione e apertura al pubblico.
Ora arriva il lavoro meritorio di don Paolo Pagliughi, sacerdote ambrosiano, cultore di scienze umane (come la psicologia) e di discipline storiche. Il suo lavoro su Federico Borromeo giunge come il compimento di un dittico che accomuna i due grandi Borromei: è infatti del 2006 il suo libro su Carlo Borromeo e sui rapporti con i suoi familiari così come emergono dal suo immenso e ancora quasi del tutto inesplorato epistolario.
In questo volume l’autore ci offre un ritratto a tutto tondo di Federico, quasi un’immagine scolpita con attenzione in ogni particolare. La vita del celebre cugino di san Carlo si snoda come un filo che attraversa i primi decenni dei Seicento, restituendoci le pieghe più nascoste della personalità, dell’anima, dei sentimenti del grande cardinale manzoniano: dall’infanzia all’adolescenza, passando attraverso gli anni di studio, fino al cardinalato in età giovanile, alla nomina ad arcivescovo di Milano, per terminare con un profilo su Federico come uomo di cultura, letterato, teologo, uomo “curioso” del sapere e del comprendere.
Ma in tutto ciò mi ha colpito soprattutto il titolo con cui inizia il primo paragrafo del primo capitolo: Federico a disagio nel mondo. Abituati a pensare a lui come al “cardinale” per eccellenza immortalato da I promessi sposi, spesso ci dimentichiamo che la sua vera vocazione era quella alla vita monastica, alla solitudine, alla contemplazione; e solo per volontà del suo autorevole cugino san Carlo intraprese una carriera ecclesiastica alla quale non si sentiva interiormente e immediatamente portato. Certo non fu cosa spontanea e naturale per lui diventare quello che di fatto fu: ci vollero maturazione nelle scelte, ripensamenti, decisioni riflesse, progetti pensati e ripensati.
Potremmo davvero dire che don Pagliughi ci offre con il suo lavoro una specie di ricostruzione “interiore” della figura di Federico Borromeo, un ritratto scavato nella psicologia del personaggio, nelle pieghe della sua spiritualità: cose tutte che Federico ha fatto per così dire traboccare dal proprio mondo interiore riversandole nel suo ricco epistolario. Non deve dunque stupire che la fonte principale a cui l’autore attinge nella sua ricostruzione sia proprio l’epistolario di Federico, le sue confidenze segrete, quasi i suoi sospiri: è una specie di “diario dell’anima” che punteggia tutta la vita del cardinale, dagli anni giovanili fino alla piena maturità, e che ha permesso all’abile e piacevole penna di don Pagliughi di offrirci questa singolare biografia.
Vorrei terminare con il ben noto episodio di Federico Borromeo che, dettando il proprio testamento, avrebbe confidato di voler morire con il crocifisso in una mano e la penna nell’altra. È un’immagine che ben riassume i due aspetti fondamentali della sua personalità: da un lato il vescovo e pastore, l’uomo di fede pio e devoto, e dall’altro l’uomo di cultura, lo scrittore, il bibliofilo, il mecenate delle arti, il curioso indagatore del sapere. In fondo sta qui la perenne attualità del cardinal Federico, pur così profondamente solidale con le virtù e i difetti dei suo tempo: fu infatti uomo di fede e insieme di cultura; fu un uomo in cui fede e cultura ancora non conoscevano quel divorzio che altri avrebbero poi predicato, ma si armonizzavano in maniera equilibrata e si richiamavano a vicenda. Un ideale questo sempre attuale e che sopravvive proprio nel capolavoro di Federico Borromeo, la sua Biblioteca Ambrosiana, luogo dove si studia il vero e si coltiva il bello alla luce della fede e della tradizione cristiana.
© L’Osservatore Romano – 30 gennaio 2010