Omelia Card. Parolin – S. Messa Solennità

OMELIA S. MESSA CHIUSURA
V CENTENARIO
NASCITA S. FILIPPO  NERI

Roma, 26 maggio 2016

Eminenze,
Cari fratellinell’Episcopato e nel Presbiterato,
Cari Padridell’Oratorio,
DistinteAutorità,
Cari fratelli esorelle in Cristo,

       Figliuoli, state allegri, state allegri. Voglio che non facciate peccati, ma che siate allegri”. Vorrei iniziare con questa esortazione di San Filippo Neri la mia riflessione in occasione della chiusura del V centenario della sua nascita, avvenuta nei pressi del monastero di Santa Chiara d’Oltrarno a Firenze, il 21 luglio 1515. 

L’allegrezza e la gioia che caratterizzarono la vita di Filippo sono frutto dell’incontro con Cristo, con la sua Parola, con il suo messaggio di salvezza. Una gioia che è contagiosa, che si trasmette per contatto, per emulazione, per frequentazione. Una gioia che trova radici nella liberazione dal male e dal peccato, che riempie talmente il cuore da non poterla trattenere. E’ l’impressione che avevano quanti incontravano Filippo. Percepivano, cioè, di essere davanti a un uomo che aveva trovato in Cristo la ragione di vita e camminava sulle strade dell’esistenza quotidiana verso la felicità eterna.

In questo nostro mondo, dove sembra regnare l’egoismo, la tristezza e l’angoscia per il futuro, l’esempio di San Filippo Neri è quanto mai attuale, perché indica la via per giungere alla vera letizia del cuore: l’incontro con Cristo, l’unico che autenticamente può dare all’uomo la pace e la pienezza desiderate.

       E’ precisamente quanto afferma Papa Francesco, nell’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia” (n. 1).

Filippo si è lasciato permeare il cuore dagli insegnamenti evangelici, ha fatto propria la lezione del Maestro, lo ha seguito da vicino, lasciando tutte le certezze che aveva per abbandonarsi alla volontà di Dio. Così la letizia ha preso possesso della sua anima e ne ha caratterizzato la dimensione spirituale.

Una gioia – lo ricordiamo in questo giovedì del Corpus Domini, uniti spiritualmente al Papa che tra poco celebrerà la S. Messa a San Giovanni in Laterano e presiederà la processione eucaristica fino a Santa Maria Maggiore – che trova la sua fonte nell’Eucaristia, alla quale Filippo attribuiva il posto centrale nella sua vita e in quella della Chiesa. Senza di essa non poteva vivere, perché era l’unico e vero amore della sua esistenza. Era il centro del suo apostolato e il segreto della sua forza e giovialità.  

       Diceva il santo che “l’allegrezza cristiana interiore è un dono di Dio, derivato dalla buona coscienza,  mercé il disprezzo delle cose terrene, unito con la contemplazione delle celesti”. Non basta quindi aveva un carattere gioviale e ilare, ma quello che conta è riconoscere che la gioia autentica è un dono di Dio. Va accolta come una benedizione che il Signore offre alle sue creature che devono farla fruttare e mantenerla viva, evitando il rischio di offuscarla o spegnerla con le proprie passioni. L’allegrezza, pertanto, si nutre di una buona coscienza e invita a guardare la realtà con gli occhi stessi di Dio, cioè a interpretare gli avvenimenti non solo in una visione orizzontale, ma collocandoli in un più ampio disegno di salvezza che procede da Dio e si proietta nell’eterno.

Contemplare le cose celesti significa riconoscere in Cristo il fulcro e il motore di tutto l’universo. Vuol dire ricapitolare in Lui – secondo l’espressione paolina (cfr. Ef. 1,10) –  ogni realtà che riguarda l’uomo e il mondo in cui vive.

Non è stato forse questo l’obiettivo di Filippo nel farsi missionario della Città eterna, al punto da vedersi attribuito il titolo di Apostolo di Roma, condiviso solo con san Pietro?

Non meraviglia, quindi, che Filippo sia il missionario, che ha saputo incarnare la gioia vivente del Vangelo. Egli, infatti, testimoniava la presenza di Cristo non solo con le parole, ma con la sua stessa vita, con i suoi comportamenti, con i suoi silenzi, con i suoi gesti semplici e ordinari. Se c’è un santo del quotidiano è proprio Filippo Neri che con il suo parlare schietto, con la sua sapienza umana, con il suo carattere aperto e gioviale seppe avvicinare a Cristo quanti incontrava sul suo cammino. Sicuramente, fu avvantaggiato in questo dalla sua tempra fiorentina, che sempre si manifestò come una delle più spiccate doti della sua personalità [come si trova conferma in una lettera del 1595: “Si come egli era fiorentino, così haveva caro che gli altri sapessero che e’ fusse”].

       Diventò così un vero apostolo, a volte anche scomodo, un messaggero senza paura che proclamava ai suoi concittadini che la liberazione era vicina, il Regno di Dio si sarebbe realizzato e il tempo del lutto abbreviato. Annunciava l’amore e la misericordia divina a quanti vivevano nell’indigenza, nel peccato, nella desolazione assoluta, a persone per le quali il termine speranza non aveva nessun significato. Si fece apostolo tra coloro che non solo erano lontani da Dio, ma neppure avevano il tempo di pensare che la redenzione fosse una possibilità alla loro portata. Questa massa di disperati trovò nel santo il motivo per ricominciare a sperare, per ritrovare la forza di iniziare un nuovo cammino.

Filippo non aveva formule magiche, non aveva il potere di cambiare le sorti di migliaia di miseri e di gente a cui mancava tutto, ma si fece uno di loro, si spogliò di tutto se stesso e condivise il loro cammino. Per questa solidarietà, la sua testimonianza lo rese credibile agli occhi dei suoi contemporanei e aprì una breccia nei loro cuori, molto più di migliaia di prediche e di rimproveri. Roma intera riconobbe nel santo un suo benefattore, uno che aveva dato una scossa morale, svegliando la città dal torpore spirituale in cui era caduta.

       I giovani seguivano il santo perché parlava in modo comprensibile, sincero, senza remore, né elucubrazioni. Indicava loro che Gesù li ama, che vuole la loro salvezza, che li attende per renderli felici. Parlava della gioia e non reprimeva il loro entusiasmo giovanile, chiedeva solo che si divertissero, ma senza fare peccati. Distingueva il divertimento dal peccato, cosa non comune nella mentalità del tempo. E i ragazzi accorrevano a lui a frotte, perché si sentivano amati, protetti, incoraggiati, seguiti. Filippo non deluse mai le loro aspettative, anzi, si donò interamente a loro per farli crescere come cittadini e come cristiani. Voleva farne dei santi, perché considerava Cristo il tesoro più prezioso da trasmettere.  

       Indicava la confessione come uno dei mezzi più sicuri per progredire spiritualmente. A questo proposito, ripeteva: La confessione frequente de’ peccati è cagione di gran bene all’anima nostra, perché la purifica, la risana e la ferma nel servizio di Dio”. Questo sacramento è, quindi, nell’espressione del santo, un lavacro che rende l’anima libera di proseguire nel servizio di Dio. L’assoluzione apporta un “gran bene all’anima nostra” per merito della misericordia divina che si riversa nel cuore del peccatore pentito e lo vivifica dall’interno, chiamandolo a riprendere il cammino e il rapporto di amicizia con Cristo. Da qui nasce il richiamo continuo di Filippo alla confessione, perché considerava la frequenza assidua al sacramento come la migliore via per rimanere uniti a Gesù e il mezzo più efficace per trovare grazia e fortezza tra le difficoltà della vita. Un testimone attestava che moltissimi de suoi figliuoli spirituali confessava ogni giorno”. Un altro che “li menava a confessare et il padre li diceva li sua peccati che havevano fatti”. Si narrano numerose occasioni in cui il santo rivela i segreti dei cuori.  Si deduce anche che Filippo pregava per chi ricorreva a lui e si affidava alla sua direzione, perché sentiva la responsabilità di fronte a Dio di queste anime. Instaurava con loro un rapporto come tra padre e figlio.

Egli è un esempio anche per i confessori di oggi che in questo Anno santo della misericordia riconciliano i fedeli a Dio per mezzo del sacramento del perdono. Filippo insegna che il tempo dedicato ad ascoltare le confessioni è un tempo prezioso, un momento privilegiato per avvicinare le anime a Cristo e farle crescere nella grazia.

Filippo è il sacerdote che non si è mai tirato indietro quando c’era di mezzo il bene delle anime a lui affidate, è il pastore fedele che sacrifica la propria vita per il gregge. Così egli è anche per la Chiesa di oggi il modello dell’autentico sacerdote che mette in primo piano la salus animarum rispetto al proprio interesse. Filippo si può definire il prete per ogni epoca, perché il suo esempio è intramontabile: donato agli altri, ricerca solo il loro vero bene, indicando sempre e comunque l’amore di Dio che supera ogni male e ogni peccato che l’uomo può compiere. Grazie alla sua azione, la Chiesa ritornò a occuparsi della cura delle anime come sua priorità, con quella vicinanza ai fedeli che lo contraddistingueva. Il suo metodo di apostolato, improntato all’amicizia e alla relazione personale con Cristo, il richiamo alla misericordia e all’amore divino, fecero breccia nei cuori della gente. Era convinto che la santità fosse accessibile a tutti e tutti potevano gustare le delizie dell’amicizia con Gesù, in qualunque stato o condizione si trovassero. Nessuno escluso! 

       Da questa gioia e dall’esperienza di comunione con il Signore scaturì l’Oratorio. Questa realtà ecclesiale si caratterizza proprio per la gioia spirituale che per sua natura è contagiosa. L’Oratorio, infatti, si alimenta e trova la sua ragione d’essere  intorno alla mensa del Corpo e del Sangue di Cristo e alla mensa della Parola di Dio. Si distingue per la fraternità, per l’amicizia e la familiarità tra i suoi membri. E’ come una famiglia riunita nel nome di Cristo, dove si prega, si ascolta e si medita la Parola, ci si prepara a ricevere i sacramenti e ci si forma alla vita cristiana anche con la lettura delle vite dei santi. La carità a favore dei più poveri e dei più bisognosi è una priorità, perché l’Oratorio vuole riprodurre il clima della Chiesa primitiva per essere nel mondo sale della terra. Nel reciproco affetto tra i suoi membri, l’Oratorio testimonia che l’amore di Cristo supera ogni divisione e ogni differenza. E’ una scuola per renderci tutti fratelli e figli dello stesso Padre.

       A tutti noi qui presenti, a tutti voi membri della Confederazione dell’Oratorio e a quanti vivono della spiritualità del santo, auguro che Maria, invocata da Filippo come “Vergine Madre, Madre Vergine”, ci accompagni nel nostro cammino terreno e ci conduca ad un’amicizia sempre più profonda, intima e robusta con Gesù Cristo. Per giungere a quella Casa, dove, con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, ci attende San Filippo Neri, nella gioia che non avrà mai tramonto.  Così sia.