Inizia la Solennità di S. Filippo Neri

In S. Maria in Vallicella il P. Procuratore Generale presiede la S. Messa vigiliare della solennità del S. Fondatore. Domani, 26 maggio, le SS. Messe solenni saranno presiedute, alle ore 12, da S. E. Rev.ma mons. Zuppi, Vescovo Ausiliare di Roma per il Centro Storico, e, alle 19, da Sua Eminenza Rev.ma il Sig. Card. Mauro Piacenza, Prefetto della Congregazione per il Clero. Daremo notizia delle celebrazioni nel prossimo servizio.

Omelia del P. Procuratore Generale

Solennità di S. Filippo Neri
Chiesa Nuova – Roma

Carissimi Fratelli e Sorelle, Sia lodato Gesù Cristo!

E’ iniziata con i Primi Vespri la festa annuale del nostro Padre S. Filippo, che sfocia domani sera nella solennità di Pentecoste, culmine delle celebrazioni pasquali, la solennità in cui la Chiesa rivive il grande momento in cui fiamme vive scesero dall’alto e un vento forte scosse il cenacolo di Gerusalemme dove gli Apostoli, con Maria, erano riuniti: la grande effusione di Spirito Santo che ha colmato la Chiesa di grazia speciale, le ha fatto prendere coscienza di sé e le ha impresso la forza di annunciare il Vangelo della salvezza al mondo intero…
 

Si potrebbe pensare che questa solennità – che inizia domani sera – sottragga liturgicamente una parte della festa annuale di P. Filippo, quella della Messa vespertina, la più solenne, sempre presieduta in Chiesa Nuova da un Cardinale di Santa Romana Chiesa. Ma non è così. Direi anzi che negli anni in cui la festa di San Filippo coincide con quella di Pentecoste, risulta ancor più evidente l’identità del nostro Santo il quale con la Pentecoste ha uno specialissimo rapporto. Proprio nell’imminenza di questa festa, infatti, egli ricevette, nelle catacombe di S. Sebastiano, un dono straordinario: mentre pregava che gli fosse “dato spirito”, come egli stesso confidò, un globo di fuoco gli penetrò nel cuore dilatandolo e imprimendogli un moto d’amore che lo farà sussultare per il resto della sua vita. “Basta, basta, più non posso” era costretto a dire Filippo quando il divampare di quel fuoco lo scuoteva anche fisicamente e la sua anima era colma di una gioia eccessiva quaggiù sulla terra, perché gioia paradisiaca che la creatura umana, nella limitatezza della sua condizione terrena, fatica a sopportare ed ha la sensazione di venir meno…
 

Era la primavera del 1544 quando ciò accadde; Filippo aveva 29 anni ed era laico; giunto a Roma una decina d’anni prima, viveva intensamente la sua vita di fede e di carità… Il Signore lo preparava a diventare l’Apostolo di Roma per i tempi nuovi. 
 

La Chiesa aveva iniziato un deciso cammino di rinnovamento. L’anno precedente – 1543 – si era aperto il Concilio di Trento che avrebbe impresso con i suoi Decreti una svolta poderosa alla vita ecclesiale e a quella ecclesiastica… Ma occorrevano uomini e donne che accogliessero quell’impulso, poiché le riforme – lo sappiamo – non si attuano sulla carta, ma nella vita di persone che cambiano, che diventano nuove, come disse stupendamente – nei tempi nostri – la beata madre Teresa di Calcutta ad un giornalista che le chiedeva: “Che cosa deve cambiare nella Chiesa?”. “You and me”: tu e io, rispondeva madre Teresa!
 

Quel chiedere al Signore che “gli desse spirito”, era espressione in Filippo Neri della sua disponibilità a diventare uomo nuovo… Il suo cammino già da anni era iniziato, ma Filippo capiva che non bastano la volontà e lo sforzo umano: occorre chiedere l’intervento di Dio, e questo domandare, questa supplice preghiera, è ciò che prepara il terreno al sorgere della novità…
 

Il dono di Dio a lui fu dato in una forma straordinaria, ma questa straordinarietà ebbe solo lo scopo di rafforzare la consapevolezza che il dono è per tutti, p tutti quelli che lo desiderano e sinceramente lo domandano.
 

Ed è dono dello Spirito, novità che investe la vita, la vita di ogni giorno, la quale cambia non perché cambiano le circostanze e le situazioni, ma perché cambia il cuore di chi le affronta!
 

Questo Dono Filippo domandava intensamente, vivendo da laico la sua fede e l’impegno della carità verso tutti, i poveri di mezzi materiali ma anche i poveri di vita spirituale, i tanti che avevano bisogno di un colpo d’ala che li rimettesse in movimento…
 

Quanto ci sia necessario anche oggi – a tutti: a noi credenti e ai tanti che paiono non più esserlo – è evidente nella nostra società, dove spuntano rami sempre nuovi di una pianta malefica che dà frutti avvelenati…, quella di cui parlava un grande Vicario di Roma, il card. Camillo Ruini, dicendo: “Chiuso il secolo dell’ateismo, si apre in Occidente quello del cinismo: un avversario forse meno provocatorio ma più subdolo”. 
 

Il cinismo – che è diabolico – si ammanta di buonsenso, di concretezza, praticità, e lentamente strangola la moralità, la coscienza, chiudendoci nell’egoismo, spegnendo lo Spirito che è in noi. È celebre la battuta di Oscar Wilde: «Che cosa è un cinico? Uno che sa il prezzo di ogni cosa e il valore di nessuna». I sentimenti, le realtà spirituali, le virtù morali sono disprezzate: pronto a finalizzare tutto a sé e ai suoi progetti, il cinico calpesta ogni cosa della vita. 
 

I nostri Santi – che si sono lasciati abitare dallo Spirito – splendono davanti ai nostri occhi come l’esatto contrario: sono uomini veri, capaci di affrontare il dono della vita, nel bene e nel male, nella gioia e nella sofferenza; uomini umili che affermano non il proprio progetto, ma quello di Dio e riconoscono che tutto è dono, anche la buona volontà, anche l’impegno che l’uomo ci mette di suo…
 

Tutto è dono, e tutto è da essi vissuto nella dimensione del dono, anche il divertimento, anche la sana allegria di certi momenti della vita…: l’allegria di cui Filippo Neri godeva nei suoi scherzi e nelle sue burle, negli incontri, ad esempio, con fra Felice da Cantalice, il questuante cappuccino che in quegli anni percorreva le strade di Roma rispondendo “Deo gratias” quando riceveva pane e vino per il convento, e “Deo gratias” anche quando insulti pesanti venivano indirizzati alla sua semplicità, alla lieta umiltà con cui domandava il gesto di carità… 
 

Desidero ricordare questo fraterno amico di P. Filippo, perché quest’anno ricorrono tre secoli dalla sua canonizzazione, e a S. M. Immacolata, a Piazza Barberini, dov’è sepolto, è iniziato uno speciale “Anno feliciano” con cui i Cappuccini celebrano il loro primo confratello elevato all’onore degli altari.
 

Ms. Filippo e fra Felice! Quanta condivisione di ciò che è il cuore della fede e della vita cristiana, e quante burle reciproche, quante battute fra i due che si incontravano per le vie e le piazze di Roma… “Ah Fra Felì, va a morì ammazzato pe’ la fede” gli diceva Filippo; “Te possino abbrucià pe’ Giesucristo” rispondeva Felice, e Filippo gli metteva in testa il suo cappello da prete e Felice gli offriva la fiasca del vino ricevuto in carità. La gente rideva… E, soprattutto, pensava! Erano due simpatici uomini di Dio, due doni del Signore alla “Città eterna”, dove il cinismo neppure allora mancava, due cristiani talmente innamorati di Cristo da andare in estasi al solo ricordarsi di Lui…
 

Fra Felice aveva la stessa età di P. Filippo – erano nati entrambi nel 1515 – ma precedette Filippo nella casa del cielo di otto anni, nel 1587. Qualche tempo prima, passando davanti a S. Girolamo, si era inginocchiato per chiedere la benedizione di Filippo…. Lascio a un teste il racconto: “Il b. Padre, qual era humilissimo, non voleva dargliela et così se inginocchiò anco egli et era una bellissima vista veder quelli dui santi abbracciati et inginocchiati insieme”…
 

Con la loro intercessione, ci aiutino – Filippo e Felice – a domandare il Dono dello Spirito e ad accoglierlo. Ci aiutino ad esser consapevoli che ciò che innanzitutto c’è da cambiare, nella Chiesa, siamo noi, ognuno di noi!
 

Sia lodato Gesù Cristo!

Pietro Paolo Rubens, S. Felice da Cantalice