Due interviste di Mons. Cerrato

Riportiamo le interviste rilasciate dal P. Procuratore Generale, Vescovo eletto di Ivrea, al settimanale diocesano “Il Risveglio popolare” e al bisettimanale cattolico “Il Biellese”.

Eccellenza, per prima cosa la ringraziamo per la sua pronta disponibilità a rilasciare al Risveglio popolare la sua parola, nonostante i tanti impegni di questi giorni.

Le chiediamo, come sta vivendo questi giorni dal momento della sua nomina a Vescovo di Ivrea.

Questa intervista, di cui sono molto grato, mi dà l’occasione, attraverso il nostro settimanale – che considero un importante strumento di comunicazione e quindi anche di comunione – di salutare, innanzitutto, i lettori. E, se mi è permesso, vorrei dire subito che le due parole che costituiscono il bel nome del nostro giornale devono diventare sempre più, per ognuno di noi, una realtà. Risveglio popolare!

In risposta alla domanda su come sto vivendo questi giorni, so di dire una banalità, ma devo dire che li sto vivendo come un “assediato” da telefonate, da sms, da e-mail, da visite… Ma è un assedio dolce: non è armato… Sono amici, tanti e tanti, soprattutto laici, di varie parti. E mi fanno un piacere immenso. Sms e email aspettano che torni la bonaccia per avere una risposta; nel traffico del telefono un certo numero riesce a trovare uno spiraglio… Ho però un mezzo efficacissimo per rispondere subito e per comunicare senza astrattezze, anche in assenza di parole…: nella Messa, nella Liturgia delle Ore e nel Rosario, chiedo al Signore di benedire tutti e ognuno; e al mio Angelo custode dico di parlare direttamente con i suoi colleghi perché facciano sentire ai loro protetti che io ho risposto… Tolto l’assedio, arriveranno anche le risposte scritte e orali… Dovrei parlare di come vivo spiritualmente questo momento: ve lo risparmio, solo vi dico che, al pensarci, mi commuove il fatto che il Signore ancora una volta mi abbia detto: “Ehi, tu!”. Perché è Lui che l’ha detto…

Abbiamo ricevuto la sua lettera con la quale si rivolge a noi chiamandoci amici, abbiamo apprezzato le sue parole paterne. Certamente il suo ministero e la sua vocazione di “sacerdote oratoriano” è molto ricco: cosa è l’aspetto che l’ha sempre colpita e aiutata?

Nel rivolgere il primo saluto alla Diocesi, ho cercato, di cuore, di immergermi nella realtà che il “Vi chiamo amici” detto da Gesù ai discepoli contiene. Da anni ho la gioia di percepirne la profondità e la pregnanza. L’ho vissuta da povero cristiano (e il motto scelto: “Fedele è Lui” lo esprime), ma la convinzione non si è mai scalfita. Questa amicizia di Cristo per noi è qualcosa che sorprende e fa sussultare il cuore: le profondità, cioè, del nostro essere uomini. Paternità, fraternità, amore coniugale, amicizia tra le persone, hanno la loro radice in questa commovente realtà di un Dio che si è fatto uomo come me per dirmi, con un cuore di carne, con una voce umana: “Io sono tuo amico”. E l’ha detto persino a Giuda nell’Orto degli Ulivi, quando già l’apostolo aveva indicato ai soldati chi era quello da catturare… Anche in quel momento – a cose fatte – Giuda avrebbe potuto dare una svolta alla vita, accogliendo quella amicizia di Cristo che non era venuta meno.

Nella esperienza che ho vissuto alla “scuola” di san Filippo Neri, ciò che sempre mi ha colpito è proprio l’importanza data dal santo al rapporto personale nell’ambito del cammino ecclesiale. Ricordo che il primo biografo, il Bacci, afferma: Li incontrava alla spicciolata… Presto diventavano suoi amici”.

Il beato Giovanni Paolo II ce lo richiamò nel Discorso rivolto al Congresso Generale del 2000: «Favorire un personale incontro con Cristo rappresenta anche il fondamentale “metodo missionario” dell’Oratorio. Esso consiste nel “parlare al cuore” degli uomini per condurli a fare un’esperienza del Maestro divino, capace di trasformare la vita. E’ necessario proporre ai “lontani” non un annuncio teorico, ma la possibilità di un’esistenza realmente rinnovata e perciò colma di gioia. Ecco la grande eredità ricevuta dal vostro Padre Filippo! Ecco una via pastorale sempre valida, perché iscritta nella perenne esperienza cristiana!».

Sappiamo che conosce la nostra Diocesi, in particolare madre Antonia Verna e la Congregazione delle suore di Ivrea predicando gli Esercizi e incontri di formazione. Seguirà il loro capitolo generale

Sì, sono almeno trent’anni che le Suore di Ivrea vogliono essere tormentate dalla mia presenza in ritiri, corsi di Esercizi, di aggiornamento… Negli ultimissimi anni, questo servizio l’ho svolto prevalentemente a Roma, ma come dimenticare, in anni non lontani, Andrate e la Casa madre di Ivrea e il “Tempio”, e Rivarolo…? Anche i “Laici Verniani” sono stati eroici a sopportarmi per anni… L’anno scorso, nell’imminenza della beatificazione di madre Antonia, a Castelnuovo Nigra, sono stato tre giorni con essi nel Congresso Internazionale che si è riunito, e conosco bene da anni l’attuale Presidente, l’avv. Vincenzo Fornaci. Dal 12 agosto, a Roma, madre Palma mi ha chiesto di accompagnare alcuni momenti assembleari del Capitolo Generale. Il 2 ottobre scorso, nella cattedrale di Ivrea, stracolma di suore, la maggior parte delle quali conoscevo personalmente e potevo chiamare per nome, ho detto loro: “Adesso la prossima beatificazione dovrà essere la vostra. Ma mi raccomando: che sia collettiva, perché mica possiamo organizzare sto pandemonio di celebrazioni per ognuna di  voi che si santifica…”. Spero di conoscere così anche il clero e i laici di Ivrea, in questo reciproco rapporto del “cuore che parla al cuore”, il che non ha nulla di romantico, e molto di cristiano.   

Se possiamo chiederle una parola per i giovani che sappiamo sono al centro dell’opera di San Filippo Neri.

I giovani – ho letto in qualche opera del grande san Tommaso d’Aquino e cito a mente – parvum habent de praeterito, multum de futuro: propterea multum vivunt in spe”: hanno un piccolo passato e molto futuro: perciò molto vivono di speranza. Io mi auguro che i giovani di Ivrea e della diocesi, anche oggi e nonostante tutto, siano ancora così, con questa speranza che è proiezione verso l’oltre, una attesa proprio nel significato etimologico della parola: ad-tendere, protendersi in avanti: nell’ambito terreno e in quell’orizzonte che sta davanti e più in là… I pagani scrissero sulle colonne d’Ercole: “non plus ultra”; per il credente in Cristo, l’“ultra” è Lui, il Signore, che non sta solo “ultra”, sta “con”, è nostro contemporaneo, nostro amico presente, Lui che dice: “Io sono con voi” e al tempo stesso cammina davanti a noi, come il Pastore. Che bello il cristianesimo! Che bello!

San Filippo, forse riassumendo tutto questo, diceva ai giovani, semplicemente: “Beati voi giovani, ché avete tanto tempo di fare il bene”.

drf
(“Il Risveglio popolare”, 31.07.2012)


Come ha accolto questa nomina?

L’atteggiamento sincero con cui l’ho accolta è quello che ho confidato agli amici: il mio pensiero è andato ai giorni che precedettero la mia Ordinazione sacerdotale, quando mi chiedevo perché proprio me il Signore avesse scelto per una missione così sublime, tra tanti miei coetanei sicuramente più degni… Sapevo la risposta, ma avevo bisogno di ripetermela: Egli sceglie secondo criteri che non sono i nostri; l’atto con cui ci promuove – e ci smuove, spingendoci avanti – è un atto del Suo Amore fedele con il quale Egli offre al chiamato la salvezza che è inviato a portare.

Allora ci fu la chiamata del Vescovo, l’indimenticato mons. Vittorio Piola; ora c’è quella del Santo Padre. Chiamate “oggettive”, direi, di fronte alle quali uno non ha dubbi: ci si sente indegni – e lo si è – ma tutta la storia della salvezza testimonia che Dio sceglie “vasi di creta” per portare il Suo tesoro.

Credo di non violare nessun segreto nel dire che la cosa, giorni fa, mi è stata presentata così: “Il Santo Padre ha deciso”.

 Che cosa significa per lei?

Un atto di grande amore di Cristo. Tante volte ho sperimentato questo amore, ma devo dire che questa volta mi ha stupito più del solito. Che abbia scelto me come Successore degli Apostoli, davvero mi riempie di stupore. Sulla mia piccolezza Gesù Cristo ha deposto una grande responsabilità, affidandomi la Chiesa che è in Ivrea. Alla Diocesi ho scritto, nella prima lettera che è il mio saluto: “Ciò in cui desidero crescere, anche come Vescovo, è la mia amicizia con Gesù Cristo: “l’intima amicizia con Gesù da cui tutto dipende”, come scrive stupendamente il Santo Padre Benedetto XVI nella Premessa al Suo libro “Gesù di Nazaret”; ciò a cui tengo maggiormente e che desidero servire è la vostra amicizia con Cristo; ciò di cui sono certo è che nell’amicizia personale di ognuno di noi con Cristo crescerà anche la nostra reciproca amicizia di discepoli del Signore, nella quale vedo realizzarsi la paternità che sono mandato ad esercitare nei vostri confronti e la filialità che la Santa Chiesa chiede a voi nei confronti del Vescovo”.

Quando avverrà l’ordinazione?

E’ presto per dirlo, ma c’è una circostanza molto importante di cui desidero tener conto: dal 4 al 13 settembre è riunito a Roma il Congresso Generale delle case dell’Oratorio ed io, fino al giorno 10 sono Procuratore Generale. L’8 settembre – Natività della B. V. Maria – è la solennità titolare della nostra chiesa-madre, S. Maria in Vallicella…

Come la sua esperienza alla guida della grande famiglia di San Filippo inciderà su questa sua nuova missione?

Direi che l’esperienza della “guida” è stata per me formativa: 84 Case in tre continenti, delle quali venti sono giunte al riconoscimento canonico da parte della Sede Apostolica nei diciotto anni dei miei mandati, e una trentina di progetti di nuove fondazioni ancora in atto, che portano la presenza filippina anche in Asia. Ma ancor più della “guida”, è stata l’esperienza formativa vissuta nell’Oratorio a plasmare la “terra cruda”  che io sono : tèra cria, come si dice nel mio Astigiano.

L’Oratorio di S. Filippo è stato per me altissima scuola. In esso Padre Filippo mi ha guidato a comprendere ed accogliere le Verità della Fede, la bellezza della vita, lo sguardo cristiano posato sull’uomo e sulla storia: in una parola: Gesù Cristo vivo e presente oggi, con il Quale ad ognuno è possibile l’incontro che cambia la vita. La missione della Chiesa, infatti, è testimoniare che il cristianesimo è un avvenimento che accade oggi, e che l’esperienza cristiana è una Vita – la Vita di Gesù Cristo – che incontra la nostra vita per salvare tutto di noi, fino alla sensibilità, fino all’istante che passa… Il Santo Padre Filippo di tutto questo è splendido esempio!

Quali legami manterrà con la Congregazione?

Te lo dico con quanto ho scritto ai confratelli in questa circostanza: “Vi assicuro il mio immutato affetto di confratello sulla «via Oratorii» da cui non si esce anche quando si è sottratti alla sua forma istituzionale, ed auguro ai Sodales delle Congregazioni ed all’intera Famiglia Oratoriana di crescere «in veritate liberi, in caritate servi, in utraque laeti»”.

Un biellese vescovo ad Asti, un altro a Casale… Ed ora, lei. Da quali premesse parte il suo cammino?

Come non riconoscere questo dato? Nell’arco di dodici anni il Signore ha chiamato all’episcopato tre preti della diocesi; dico della diocesi perché anch’io, come filippino, sono incardinato nel clero biellese, secondo l’antico costume dei Padri dell’Oratorio. A Biella sono giunto da Torino dopo aver frequentato il biennio filosofico; qui ho proseguito gli studi teologici, qui sono stato ordinato prete, qui ho lavorato fino al 2005, quando dalla Santa Sede ho ricevuto l’invito a passare nella Casa di Roma. Anche dopo l’ottobre 1994, eletto Procuratore Generale, pur con numerose assenze dovute agli impegni dell’incarico ed alla frequente presenza a Roma, ho continuato il mio ministero nella chiesa di S. Filippo (ed anche altrove, in qualche parrocchia e in vari gruppi di laici). Ho sempre considerato un autentico ministero anche i venti anni di insegnamento, che mi hanno messo a contatto con tanti e tanti giovani che non avrei certo trovato nei nostri ambienti… Ho impresso nel cuore quanto mi scrisse un mio preziosissimo e amato maestro, fr. Enrico delle Scuole Cristiane, nel momento in cui iniziai ad insegnare: “Ministero sacerdotale ed insegnamento nella scuola non sono due missioni: sono la splendida pienezza di una sola”.

Le premesse del nuovo cammino – ma la novità, in ambito cristiano, è sempre il sorgere, dentro alle concrete circostanze, della Novità, dell’Inizio, da cui tutto è partito, il farsi Uomo di Dio –  sono quelle maturate lungo la mia esistenza. E Biella, in questa maturazione ha rappresentato molto, come ha rappresentato molto anche la mia famiglia, con la sua fede semplice, con la concreta messa in atto dei valori cristiani (e perciò davvero umani) che sono le virtù.

Quali legami sente ancora vivi con Biella e quali vede per il futuro?

Di quelli attuali non farei fatica a stendere un lungo elenco. Dico, in sintesi: il rapporto di amicizia ed il cammino di fede che con tanti e tanti non è mai cessato. Su quelli futuri, mi è più difficile fare pronostici. Sarò il Vescovo di Ivrea! Ma i miei amici biellesi sanno che l’amicizia cristiana va al di là dei confini territoriali. Se solo facessi l’elenco dei biellesi che ho incontrato a Roma e a Biella in questi sei anni, credo che riempirei l’intervista.

Come si proporrà alla gente che l’attende?

Non posso che propormi come sono, anche se mi prendo l’impegno di migliorare… Già ho detto in parte quel che ho scritto alla Diocesi. Posso aggiungere ancora questo, che è un passo della lettera: E’ una grande gioia per me constatare che il mio servizio episcopale ha inizio nell’imminenza dell’“Anno della fede” indetto dal Santo Padre con la Lettera Apostolica “Porta fidei”. In essa leggiamo che tale Anno “è un invito ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo”, e troviamo una preziosa indicazione di cammino: “Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato. Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone”. Vivremo insieme l’Anno della Fede, secondo le indicazioni che ci vengono dal Santo Padre.

Che cosa conosce di questa nuova realtà?

Molto e poco al tempo stesso. Molto, perché conosco molte persone; poco, perché solo la condivisione concreta dell’esperienza quotidiana è quella che ci permette di conoscere. Vorrei – questo è il mio intento forte – essere vicino ai preti. L’esperienza dei diciott’anni di Procuratore della Famiglia Oratoriana, se mi ha insegnato qualcosa è questo: val più un momento di vicinanza fraterna di tutti i programmi pastorali. Non dimenticherò mai quel che mi disse un confratello a cui dovetti chiedere un grosso sacrificio. Rispose di sì immediatamente, e il sacrificio era molto grosso… Mi stupii – e glielo dissi – per la prontezza assoluta nell’accettare. Mi disse: “Ma lei non ricorda che quando sono stato ordinato prete ha viaggiato una notte in treno, arrivato nel pomeriggio dal Messico, per venire alla mia ordinazione?”. Ecco, vorrei che i miei preti mi sentissero così. E subito li pregherò di aiutarmi ad essere così.

Il suo motto?

Ho dovuto pensare, dopo le cose più importanti, anche a procurarmi uno stemma, e senza esitazione ho scelto quello di San Marzanotto d’Asti, il paese dei miei, i Cerrato e i Bianco che hanno dato origine alla famiglia in cui sono nato e della quale ringrazio il Signore.

Uno stemma, per un nuovo Vescovo che non ne ha uno di famiglia, diventa, di solito, qualcosa di molto personale: si mettono su uno scudo elementi simbolici, programmatici, allusivi; per questo – da quando non sono molti i Vescovi che posseggono blasoni gentilizi di famiglia – negli stemmi ecclesiastici abbondano simboli religiosi altamente eloquenti.

Nel mio si potrebbe pensare che la Vergine Madre che compare nella parte alta dello scudo – raffigurata come Madonna della Vallicella di Roma, venerata da tutta la Congregazione di San Filippo Neri, mia famiglia anch’essa – sia l’unico elemento “religioso”. Ma non è così: l’insegna di San Marzanotto è per me espressione di un prezioso patrimonio di valori umani e cristiani; meglio: di realtà umane e cristiane, perché i valori acquistano pieno significato quando si incarnano. Nel cristianesimo questo è l’essenziale: Dio che si è fatto uomo per salvare l’uomo porta a compimento l’umano; il frutto della fede cristiana è l’uomo che, nonostante le sue fragilità e infedeltà, con san Paolo può affermare: «Vivo non più io, Cristo vive in me; e questa vita che io vivo nella carne la vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal. 2,20). Il cristianesimo è tutto nella “passione” di Dio per l’uomo: tanto appassionato all’umano, questo Dio, da condividere, in Gesù Cristo Uomo-Dio, le gioie e i dolori dell’uomo, i sentimenti e le paure, le fatiche e la crescita, la vita e la morte, offrendo una salvezza eterna che incomincia nel breve scorrere del tempo come una elevazione, una trasformazione: un lievito che fa fermentare la pasta senza toglierle nulla, anzi, dandole di più: la possibilità di una levatura che essa non potrebbe darsi con le sole sue forze.

Il motto risponde ad una profonda convinzione: “Ille fidelis”, dice san Paolo: fedele è Lui, il Signore, e tale rimane anche quando noi manchiamo di fede.

Un desiderio?

Lo posso dire, anche se sembra una frase scontata? Fare la volontà di Dio, perché “in sua voluntade è nostra pace”!

Susanna Peraldo
 (“Il Biellese”, 31.07.2012, pp.9-10)