Omelia del Card. Antonelli per la festa di S. Filippo Neri

Trasmettiamo l’omelia di S.E.R. il Sig. Card. Ennio Antonelli, Presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Famiglia, pronunciata in S. Maria in Vallicella nella S. Messa del giorno della festa di San Filippo Neri.

Omelia nella solennità di S. Filippo Neri
Roma, S. Maria in Vallicella, 26 Maggio 2015

Oggi, 26 maggio, è l’anniversario della morte, cioè della nascita al Cielo, di San Filippo Neri. Ma quest’anno celebriamo anche i 500 anni dalla sua nascita su questa nostra terra.
 

La Chiesa venera i Santi come intercessori, attraverso i quali chiediamo a Dio le grazie, come modelli esemplari di vita cristiana, che siamo chiamati ad imitare, come testimoni e segni luminosi della presenza di Cristo nella storia, che confermano la nostra fede. Oggi vorrei riflettere con voi su questo terzo aspetto, perché mi sembra particolarmente rispondente all’anniversario della nascita storica. La luce della luna deriva dal sole. La luce, la vitalità, la fecondità della Chiesa e dei Santi derivano da Cristo. Lo ha detto il Signore stesso nel Vangelo, che adesso abbiamo ascoltato. “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15, 5). Se dunque un tralcio è particolarmente rigoglioso e ricco di frutti, ciò è dovuto alla sua intima unione con la vite.

Cristo ci unisce a sé e ci rende partecipi della sua vita divina e della sua missione salvifica, comunicandoci il suo Santo Spirito. “Riceverete la forza dello Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra” (At 1, 8). Ebbene, San Filippo Neri ha ricevuto una comunicazione straordinaria dello Spirito Santo e per questo è stato un testimone meraviglioso e un segno trasparente della presenza di Cristo in mezzo al suo popolo. Egli ha fatto l’esperienza di una Pentecoste miracolosa: ha ricevuto lo Spirito non solo come energia interiore di sapienza e di amore, ma anche come potenza che si è manifestata esteriormente nel corso della sua vita, dilatando fisicamente il suo cuore, facendolo palpitare violentemente fino a rompere due costole, deformare il petto, irradiare intenso calore, trasmettere vibrazioni agli oggetti vicini (ad esempio, alla sedia, al banco). Con un sovrabbondante dono dello Spirito, il Signore Gesù lo ha unito intimamente a sé, diventando la vita della sua vita, il suo tutto.
 

A riguardo viene in mente un celebre detto di San Filippo: “Chi vuol altro che Christo, non sa quel che si voglia; chi dimanda altro che Christo, non sa quel che dimanda; chi opera e non per Christo, non sa quel che si faccia”. Cristo è davvero tutto per lui. Filippo vive in Cristo e Cristo vive in Filippo e attraverso di lui irradia e manifesta nel mondo la sua presenza e il suo amore. L’intimità con il Signore rigenera il credente, lo rinnova, lo colma di forza e di gioia, lo rende più autenticamente umano. Lo lasciava intendere anche il testo di san Paolo che è stato proclamato nella seconda lettura. “Fratelli, siate sempre lieti nel Signore; ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla … Quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri” (Fil 4, 4-8).

L’incontro personale con il Signore e l’unione con lui generano e fanno crescere l’uomo nuovo, plasmato dall’amore verso Dio e verso i fratelli. Sono curate le ferite, corrette le deformazioni, vinte le inclinazioni disordinate, sviluppate le virtù, potenziati i valori umani. La personalità trascende i limiti della natura e fiorisce nella bellezza della vita di grazia. Di questa espansione dell’umano possiamo vedere un simbolo nel cuore ingrandito e dilatato di san Filippo che, secondo una testimonianza resa nel processo di canonizzazione, “pareva uscir fuor del petto”.
 

San Giovanni Paolo II, nella Lettera agli Oratoriani durante il Giubileo dell’anno 2000, afferma: “Tale incontro (Con il Signore Gesù) vissuto e proposto da san Filippo Neri in modo originale e coinvolgente, porta a diventare uomini nuovi nel mistero della Grazia, suscitando nell’animo quella gioia cristiana, che costituisce il centuplo donato da Cristo a chi lo accoglie nella propria esistenza”. Tale affermazione può essere ulteriormente prolungata, ricordando che l’incontro e l’unione con il Signore fecero di Filippo un uomo meravigliosamente libero e un grande educatore di uomini liberi. Non la libertà soggettivista e individualista, ma la libertà per la verità e per il bene, per sviluppare in modo creativo i doni di Dio, per edificare la comunità nell’amore e nel rispetto reciproco.
 

Per Filippo la sanità non consiste nei fenomeni mistici e nei miracoli e neppure nelle lunghe preghiere, nei frequenti digiuni, nelle severe penitenze corporali, ma nell’umiltà, nella carità e nella gioia. A) Umiltà, intesa come distacco da se stesso, mortificazione della ragione orgogliosa e protesa all’autoaffermazione, al proprio piacere e interesse egoistico. Un teste nel processo di canonizzazione dichiarò: “Soleva dire spesso, accennando con la mano la fronte: Tutta l’importanza sta nel mortificare la razionale”. Un biografo scrisse che, come l’apostolo Giovanni raccomandava continuamente ai suoi discepoli “Amatevi gli uni gli altri”, così Filippo raccomandava continuamente “Siate umili, state bassi”. B) Carità verso Dio e carità verso il prossimo. La seconda da intendere e da mettere in pratica sia come affabilità, gentilezza e amore reciproco, sia come attenzione, aiuto e servizio concreto a tutti, specialmente ai malati e ai poveri. C) Gioia: sentirsi amati da Dio in Cristo e perciò sentirsi vivi e realizzati; da qui derivano letizia, festosità, canti spirituali e musica, fino a quel frutto maturo che è l’oratorio musicale; inoltre derivano umorismo, scherzi, trovate estrose, perfino stranezze, per evitare l’ammirazione e umiliare se stesso, per correggere i suoi amici con dolcezza e amabilità ed educarli all’umiltà.
 

Per Filippo la santità, come a distanza di secoli insegnerà san Giovanni Paolo II, è la misura alta della vita cristiana ordinaria. E’ alimentata dalla preghiera (ascolto della Parola, meditazione, raccoglimento) e dai sacramenti (Confessione, Eucarestia); ma è da realizzare nelle relazioni e attività di ogni giorno (nella casa, nella strada, nella bottega, nella campagna, nel lavoro, nello studio, nel divertimento). Con un anticipo di cinquant’anni su san Francesco di Sales, Filippo la propone a tutti: uomini e donne, dotti e ignoranti, artisti e artigiani, ecclesiastici e politici, ricchi e poveri, fanciulli e giovani, adulti e anziani. Nell’oratorio filippino si fa concreta esperienza della Chiesa come comunità di dialogo e condivisione, in cui tutti ricevono e tutti danno. E carattere familiare hanno le riunioni, dove tutti sono uditori e tutti annunciatori della Parola.

Si intuisce facilmente come tutto questo, dopo cinquecento anni, sia ancora attualissimo. Oggi sono largamente diffuse la negazione di Dio e l’enfatizzazione della libertà senza verità. Una libertà sospesa sul nulla, che genera individualismo egoistico e finisce nella solitudine e nella disperazione. Si avverte l’esigenza di rifondare l’umanesimo. E’ significativo che la Chiesa italiana per il suo convegno decennale, che si terrà nel prossimo novembre a Firenze, abbia scelto come tema “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”.
 

San Filippo Neri, apostolo di Roma, ma fiorentino di nascita, è stato chiamato “profeta della gioia cristiana”. Possiamo chiamarlo anche “profeta dell’umanesimo autentico”, perché ha testimoniato in modo meraviglioso quella verità, che alcuni secoli dopo il Concilio Vaticano II ha scolpito con queste parole: “Chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo” (Gaudium et Spes, 41).

Ennio Card. Antonelli