Newman al Meeting di Rimini

Nella XXXII edizione del Meeting di Rimini, che si svolge sul tema: “E l’esistenza diventa una immensa certezza”, è presentata la Mostra «”Cor ad cor loquitur”. La certezza di Newman. Coscienza e realtà». Intervengono P. Edoardo Aldo Cerrato, Procuratore Generale della Confederazione dell’Oratorio e Ian Ker, Fellow in Teology alla Oxford University. Introduce e modera l’incontro Javier Prades Lopez, Decano della Facoltà Teologica di S. Damaso di Madrid.

Intervento del P. Procuratore Generale

Cari amici, non vorrei sottrarre a Newman neppure pochi minuti, ma salutando i presenti alla luce del motto newmaniano “Cor ad cor loquitur” permettetemi di dire che tra di essi vedo alcuni che sono miei amici ad un titolo specialissimo poiché con essi, in tempi e luoghi diversi, ho avuto la grazia di condividere esperienze di fede – e di fede “che diventa cultura”, per dirlo con Giovanni Paolo II – … esperienze che considero patrimonio prezioso della mia vita. Con alcuni di questi amici, ho condiviso pure la partecipazione al Meeting per non pochi anni, prima che gli impegni del mio incarico mi rendessero difficile essere qui in questi giorni di agosto… Sono esperienze che porto nel cuore, come essi sanno e come ho avuto modo di dire, nel giugno scorso, a Roma, a Emilia Guarnieri. Trovarmi qui, da questa parte della sala, vi confesso che mi intimorisce, ma la gioia di condividere con voi questo momento vince anche i ragionevoli timori.. Grazie per la vostra amicizia!

Nel mio intervento non accennerò agli aspetti – ampiamente studiati e consegnati a numerose e pregevoli pubblicazioni – del pensiero di colui di cui già il ven. Pio XII disse: «Non dubiti, Newman sarà un giorno dottore della Chiesa»; lo confidò a Jean Guitton (che ricordo di aver incontrato, qui al Meeting). Mi soffermerò su una realtà che nella vita di Newman può apparire “minore” rispetto alla sua grandezza di pensatore, ma è una realtà che caratterizzò, invece, e profondamente, la metà di quella vita: dal 1847 alla morte: i 43 anni che Newman visse nell’Oratorio di San Filippo Neri, come discepolo del santo a cui il Meeting nel 1995 dedicò una splendida Mostra. D’altra parte, proprio questo la Mostra si propone: «ripercorrere il cammino della vita di Newman […] da cui emerge come la coscienza sia stata la forza motrice di tutto il suo cammino verso la certezza della verità».

La vita! «Anche negli scritti apparentemente più teorici – ha sottolineato Roderick Strange – Newman è una personalità che si è lasciata guidare da avvenimenti interiori ed esterni […] Fu sempre più interessato alla realtà che alla teoria. Si occupava di ciò che realmente accadeva» (R. STRANGE, John Henry Newman. Una biografia spirituale, Lindau, Torino, 2010, passim). Newman stesso, infatti, nel Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana (1845) sostenne che una dottrina, una teoria, un enunciato mostra la sua effettiva vitalità quando diviene un «principio attivo»; attivo non solo nel senso che genera nell’uomo una nuova contemplazione o una rimeditazione: soprattutto nel senso che si traduce in azioni, in iniziative di applicazione. In tal senso, secondo Newman, si può affermare senza incertezze che il cristianesimo è stato sempre vitale. Nel sua Grammatica dell’assenso (1870) egli rileva che l’assenso nozionale (che è di tipo intellettuale e si configura come adesione teoretica ad una proposizione assertiva) è piú debole di quello reale, che ha la capacità di sollecitare affetti, sentimenti, passioni, può coinvolgere la volontà, può generare azioni. Solo quando una dottrina muove l’aspetto affettivo, pratico, dell’uomo, essa si sviluppa nel corso del tempo e diventa forza storica. E ancora, nella Grammatica dell’assenso, Newman afferma: «Il processo razionale che ci è più naturale non è da proposizione a proposizione, ma da cosa a cosa, dal concreto al concreto, da oggetto totale a oggetto totale» (G. A. 213-214)

Della vita di Newman il Prof. Ian Ker – da insigne studioso – ci presenterà le “conversioni”: la scoperta che Dio e l’anima sono reali, e che la presenza di Dio può essere percepita con la stessa concretezza e certezza con cui si percepiscono le realtà esteriori, gli oggetti della vita comune, i volti degli amici; la consapevolezza che la fede non si esaurisce in un’esperienza di dialogo intimistico con Dio ma diventa intelligenza della realtà; la scoperta che Dio ha deciso di “intromettersi negli affari umani” creando un luogo reale – la Chiesa – della sua presenza… Sul percorso tracciato da queste conversioni si situa la vocazione oratoriana di Newman, la sua risposta ad una chiamata – quella all’Oratorio – che fu così importante da indurre uno studioso, il card. Jean Honoré, a parlare, anche a questo riguardo, di “conversione” (cfr. J. HONORE’, Newman. La fidelité d’une conscience, Chambray, 1986, pp. 14-16).

Newman oratoriano, dunque. «Amo un vecchio dal dolce aspetto, – egli scrisse in riferimento a san Filippo – il suo pronto sorriso, l’occhio acuto e profondo, la parola che infiamma uscendo dal suo labbro quando non è rapito in estasi…»… E questo «amo…» ci fa comprendere che la scelta di Filippo Neri e dell’Oratorio filippino da parte di Newman – come ha sottolineato bene il padre Murray – non è stata una semplice scelta strumentale, ma una un elemento decisivo nel ricco percorso esistenziale di Newman. A Leone XIII che, appena eletto, gli offriva la Porpora e che continuerà a chiamare Newman “il mio cardinale”, indicando in questa decisione le linee fondamentali del suo pontificato , Newman rispondeva: «Da trent’anni sono vissuto nell’Oratorio, nella pace e nella felicità. Vorrei pregare Vostra Santità di non togliermi a san Filippo, mio padre e patrono, e di lasciarmi morire là dove sono vissuto così a lungo». L’Oratorio era per lui, secondo la più autentica tradizione filippina, la sua casa: house e home … Ho letto recentemente un bel libro del caro amico mons. Massimo Camisasca: “La casa, la terra, gli amici”… Grazie, don Massimo! Giunto a Roma per il concistoro, padre Newman scriveva al suo vescovo: «Il Santo Padre mi ha ricevuto molto affettuosamente stringendo la mia mano nella sua. Mi ha chiesto: “Intende continuare a guidare la Casa di Birmingham?”. Risposi: “Dipende dal Santo Padre”. Egli riprese: “Bene. Desidero che continuiate a dirigerla”, e parlò a lungo di questo».

Affascinato dalla bellezza della sua vocazione, Newman la descrisse nei suoi scritti oratoriani – presentati al pubblico italiano, lo scorso anno nella edizione di Cantagalli dell’opera di padre Murray, Newman the Oratorian – ma anche l’Apologia pro vita sua, forse la più famosa delle opere di Newman, si apre e si chiude con il ricordo di san Filippo e della sua Congregazione. Che cosa, di Padre Filippo, affascinò John Henry Newman, spingendolo a scegliere l’Oratorio come forma e metodo della sua vita sacerdotale nella Chiesa Cattolica? Newman lo espresse con un termine: “gentilezza”, nel quale vide l’armoniosa sintesi di tutto il mondo interiore del santo fiorentino divenuto romano senza cessare d’essere quel che era…: una dote iscritta nel temperamento di Filippo, ma cresciuta nella forte e dolce comunione con la presenza viva di Gesù Cristo, di cui Filippo ripeteva: “Chi vuol altro che non sia Cristo, non sa quel che si voglia”… Nella amicizia con Cristo fiorì la sua matura personalità, la singolare libertà di spirito che caratterizza Filippo, la sua intelligente discrezione, il convinto rispetto per le doti di ognuno, la sapiente semplicità, la gioia che Goethe, cogliendo in profondità lo spirito del santo, con stupenda sintesi definì «gioia pensosa».

La scelta oratoriana compiuta da Newman – che tornò in patria portando con sé il breve del 1847 con cui il beato Pio IX istituiva l’Oratorio in Inghilterra dando a Newman facoltà di propagarlo in quella nazione – è dettata dall’amore per la proposta di vita che venne da san Filippo Neri e che Newman visse intensamente e che lucidamente descrisse nei sermoni sulla Missione di san Filippo Neri (Birmingham, 1850), nelle Lettere inviate da Dublino nel 1856 alla sua comunità, ed anche in alcune splendide preghiere. L’Oratorio si affacciò sul suo orizzonte fin dal momento dell’ingresso nella Chiesa Cattolica, quando Wiseman lo persuase a ricevere l’ordinazione sacerdotale, suggerendogli l’Oratorio come la forma di vita più idonea a lui ed ai compagni che lo avevano seguito. Sostenuto dalla convinzione che la sua vita doveva svolgersi in una comunità caratterizzata «da un acuto senso della cultura e dal gusto innato per l’umanesimo», «dal rispetto verso le persone e dal rifiuto di ogni coazione» (J. HONORE’, Itineraire spirituel de Newman, Paris, 1963, p. 162), Newman dedicò un anno al discernimento sulla propria vocazione: quello che trascorse a Roma dall’ottobre 1846 per prepararsi, con alcuni compagni, all’Ordinazione: già nel gennaio 1847, visitò l’Oratorio – che gli richiamò la sua esperienza dei Colleges universitari inglesi – e con il fedele amico St. John, per chiedere luce su quella vocazione, si recò per nove giorni al sepolcro di S. Pietro, dedicandosi, nel contempo, a studiare le Costituzioni e la storia dell’Oratorio. All’inizio di febbraio la decisione era presa: dopo l’Ordinazione sarebbero stati iniziati alla vita oratoriana dai Padri della Chiesa Nuova. La figura di san Filippo Neri, di cui già nel periodo anglicano Newman aveva qualche conoscenza, si fece a lui più familiare: «Mi ricorda in molte cose Kable – scrisse da Roma alla sorella Jemima – I due condividono la stessa totale avversione all’ipocrisia, il carattere gioviale e quasi eccentrico, un tenero amore agli altri e il rigore con se stessi». E al Prefetto di Propaganda Fide scrisse: «Abbiamo scoperto un cammino intermedio tra la vita religiosa e una vita completamente secolare; il che si adatta perfettamente a ciò di cui sentiamo il bisogno». Il 21 febbraio il progetto riceveva l’approvazione del beato Pio IX.

Ritornato in Inghilterra, nei sermoni predicati alla Comunità già tracciava della vocazione oratoriana una panoramica così esauriente che non sarebbe stata superata dalle successive acquisizioni. Filippo Neri è colto da Newman nella sua originalità di “vir prisci temporis”, uomo del tempo antico: uno, cioè, in cui torna a farsi presente con evidenza l’origine del cristianesimo, l’inizio da cui tutto è sgorgato. Senza proclami ufficiali, in tutta semplicità, il suo Oratorio aveva assunto, infatti, il volto della comunità apostolica, come testimoniano, tra i primi, Cesare Baronio e Francesco M. Tarugi: «Sembrò riapparire, in relazione al tempo presente, il bel volto della comunità apostolica». La comunità oratoriana fu perciò per Newman: «…dodici preti che lavorano insieme: ecco ciò che desidero. Un Oratorio è una famiglia e una casa. Ciò che mantiene l’armonia comune è la delicatezza e la reciproca sollecitudine, la deferenza e la gentilezza, il mutuo apprezzamento, la conoscenza del modo di essere degli altri…».

La «via» tracciata da padre Filippo è tutta contenuta in sintesi già nel “Proemio” delle Costituzioni: «…Il Santo Padre Filippo […] era solito dirigere con paterno afflato lo spirito e la volontà dei singoli suoi figli, secondo l’indole di ciascuno, stimandosi pago di vederli accesi di pietà e ferventi nell’amore di Cristo. Solo gradatamente e con garbo, andava sperimentando ed accertando come manifestazione della volontà del Signore ciò che, per diuturna esperienza, gli risultava essere loro congeniale ed utile, giorno per giorno, al raggiungimento della santità. Ed egli affermava con persuasione che questo genere di vita era realmente quanto mai adatto ai Sacerdoti secolari ed ai Laici, e conforme alla volontà divina». Una comunità di preti, dunque, totalmente dediti a Cristo, una vita familiare impostata sull’attenzione ed il rispetto della singola persona, la cui indole propria è un valore da potenziare nel bene e da formare alla luce dello Spirito, in un atteggiamento responsabile di autentica libertà che non solo non si oppone al cammino comune, ma diventa ricchezza all’interno della Comunità; senza dimenticare quel «gradatamente» (pedetemptim) e quel «con garbo» (suaviter) che sono preziosa lezione di realismo nell’opera di formazione condotta da padre Filippo. La secolarità che la Congregazione garantisce, dentro una vita familiare ordinata, è una qualità, uno stile, che possiamo definire disposizione d’animo a percepire dall’interno le inquietudini dell’uomo; una disponibilità a stare nel mondo abitandolo, non beneficandolo dall’alto senza condividere le sue ansie: come ha fatto Gesù Cristo che non è stato un benefattore dell’umanità, ma si è incarnato, si è messo con noi, al nostro passo. Una secolarità che è il contrario del clericalismo, se per clericalismo intendiamo estraneità, arroganza, falsi complessi di superiorità, paternalismi avvilenti…

San Filippo Neri e l’Oratorio facilitarono a Newman anche la felice sintesi tra pietà e cultura di cui egli trovò un’altissima espressione nell'”Umanesimo devoto” di san Francesco di Sales, fondatore dell’Oratorio di Thonon prima di essere fatto vescovo: non è di poco rilievo che proprio da una lettera del santo savoyardo Newman abbia tratto il motto del suo stemma: Cor ad cor loquitur: stupenda espressione del principio fondamentale della vocazione cristiana: una chiamata all’incontro personale con Dio in Cristo; un incontro che sfocia nel rapporto autenticamente personale con gli uomini… «Il compito del nostro Istituto è di parlare al cuore» già aveva detto uno dei primi discepoli di Padre Filippo, il card. Tarugi. Per Newman «la parola non si comunica per pura ed esclusiva via astratta ma per i rapporti concretamente creati da una interiore affinità; dal momento che si conosce non solo con la mente, ma con tutta la persona, e quindi con l’affectus, secondo l’affermazione di Gregorio Magno: Amor ipse notitia, l’amore è in se stesso fonte e principio di conoscenza: amare è conoscere» ( I. BIFFI, John Henry Newman. Dicevano che fosse troppo liberale, in L’Osservatore Romano – 20.05. 2009).

Gli anni della vita oratoriana di Newman, tutti quelli che egli visse nella Chiesa Cattolica, furono per lui decisamente segnati da prove dolorose venute dall’esterno e anche dall’interno della Chiesa: attraverso di esse Newman si lasciò condurre, alla scuola di Padre Filippo, fino alle vette dell’umiltà, a quella “mortificazione della rationale” che Filippo insistentemente insegnava e che non significa affatto rifiuto della coltivazione dell’intelligenza (la quale, nell’Oratorio, può estendersi, e si estese a tutti gli ambiti del sapere), né degli affetti umani (dal momento che la comunità oratoriana è fondamentalmente un’amicizia cristiana), e neppure un rifiuto dei beni temporali: è la rinuncia alla “voluntas propria”, all’autosufficienza, al fine di essere liberi senza essere indipendenti, solidali nella comunione.

L’Oratorio di san Filippo Neri – scrisse Louis Bouyer – «nasce dall’incontro, in san Filippo, tra un’anima eccezionalmente interiore e una mente eccezionalmente aperta» (Un Sacrate romain. St. Philippe Néri, Paris, 1978; traduzione italiana: La musica di Dio. San Filippo Neri, Milano, 1980, p. 101): sta qui la vocazione oratoriana a cui Newman si sentì chiamato e alla quale rispose con dedizione generosa e fedeltà creativa. Tutta la sua storia – non solo i grandi momenti di essa – è stata un movimento di conversione; e ogni tappa raggiunta fu un traguardo e, al tempo stesso, un nuovo inizio, una dedizione scaturita dall’amore per Cristo che è l’Inizio perenne, l’Inizio su cui si fonda ogni nostra ripresa! «Ex umbris et imaginibus in veritatem» volle scritto sul suo epitafio: dalle ombre e dalle apparenze nella Verità… Ombre ed apparenze non sono l’esito della vita: la meta è la Verità: “in veritatem”: non solo “ad veritatem”, ma “nella Verità” poiché la Verità non è un’idea: è una Persona, quella di Gesù Cristo vivo e presente nella sua Chiesa, incontrabile in un cammino di crescita che – Newman diceva – «è la legge della vita». «E l’esistenza diventa una immensa certezza»!

In quell’«e» iniziale del titolo del Meeting c’è anche tutta l’esperienza di Newman… Grazie!