L'Oratorio musicale


 

L’Oratorio musicale prende nome ed anima dall’Oratorio di P. Filippo, il quale non tralasciava di concludere i suoi incontri spirituali senza dare spazio alla musica, ricreatrice ed educatrice di anime.

 

L’Oratorio musicale non era, nelle attività di P. Filippo, cosa a sé stante rispetto all’intenzione principale che lo animava, cioè “il trattare ogni giorno il verbo di Dio con un modo familiare". [1]

 

La musica diventò un momento ricreativo e formativo nel contempo, parte fissa e irrinunciabile delle riunioni dell’Oratorio.

 

Lo sviluppo che la lauda ebbe in seno all’Oratorio portò addirittura alla nascita di un nuovo genere musicale, affiancato al melodramma, e denominato proprio Oratorio: un racconto musicale, tratto specialmente da brani biblici, con commenti di cori e recitativi di solisti, il tutto accompagnato da una piccola orchestra. 

 

 

Con la Rappresentazione di anima e di corpo (1600) di Emilio de’ Cavalieri, ha inizio ufficialmente a Roma, nella chiesa di S. Maria in Vallicella, il nuovo genere musicale denominato Oratorio.

 

Questo spettacolo si presentava con caratteri anomali, rispetto al consueto melodramma: accomunato ad esso dall’uso di pochi strumenti posti dietro la scena (lira doppia, organo, clavicembalo e chitarrone), ma  contrassegnato da sostanziali differenze.

Innanzitutto presenta non un soggetto mitologico, bensì un tema allegorico-morale. Intervengono personaggi ideali, quali il tempo, l’anima, la verità, la fede, ecc.

 

Il luogo di rappresentazione non è il teatro di corte, ma una chiesa. Stranamente, questo spettacolo non prevede costumi, né apparati scenici, né azione scenica. Il canto stesso esulava dallo stile dei virtuosismi lirici, ma era molto semplice e lineare (è l’uso del recitar-cantando).

 

Si delineava, dunque, una nuova forma di composizioni musicali che potremmo riassumere con questi caratteri fondamentali: composizione drammatica, ma non rappresentativa, che narra una vicenda religiosa, agiografica o spiritualmente edificante, senza scene né costumi, solo esecuzione canora con semplice accompagnamento strumentale (generalmente 2 violini e basso continuo).

 

E’ l’Oratorio.

 

A Roma, l’Oratorio si sviluppò in due modi:

Se questo fatto contribuì, nella storia della musica, ad una peculiarità che arricchiva le forme espressive costitutive della musica stessa, non fu però visto tanto positivamente nel momento in cui assumeva forma autonoma rispetto agli incontri dell’Oratorio, e si staccava quindi dalla sua ratio originaria: essere sussidio di formazione spirituale in un contesto di preghiera e di incontro con la Parola di Dio.

 

P. Mariano Sozzini (1613-1680) così scriveva ad un confratello della casa di Firenze:

 

“La vanità della musica non distragga la devotione, come in qualche parte il demonio ha guadagnato nel nostro Oratorio di Roma dove sudiamo sangue a moderarne i disordini della musica e ne restiamo con scapito giornalmente. Il nostro santo Padre soleva nelle sere di festa far cantare le litanie, intonando uno dei nostri sacerdoti e rispondendo tutti i confluenti, e poi faceva cantare una devota e semplice lauda (...) E quando mi si risponde che oggi non è più quel tempo, io sospirando replico che qui sta tutto il male, perché non è più quel tempo". [2]

 

Senza farsi prendere da nostalgie indebite e rimpianti inutili per «il tempo che fu», come P. Sozzini, ma anzi nella ferma – e ottimistica – considerazione che tutti  i tempi sono tempi guidati dallo Spirito, resta però il fatto che, oltre alla bellezza e importanza che ogni concerto offre, la musica, quale veicolo più intimamente adattabile alle esigenze dell’animo umano, sempre assetato di bellezza e verità, unita alla parola di Dio, è capace di produrre effetti spirituali unici.

 

L’idea originaria di P. Filippo emerge anche oggi, quindi, in tutta la sua portata veritativa.

 

Gli odierni canoni musicali sono ben diversi dalla lauda medievale, ma questo non impedisce la geniale fusione di predicazione-preghiera- musica in un insieme atto ad avvicinare l’uomo a Dio.

 

La musica, avvertita dall’animo umano quale pulchrum per eccellenza, rimane all’interno delle attività dell’Oratorio Filippino, uno strumento insostituibile capace di creare armonia tra Dio e l’uomo. Può, nel senso realistico del termine, essere considerata un canale di grazia, proprio perché è uno dei modi attraverso cui l’Inesprimibile può comunicarsi al cuore dell’uomo.

 

“La musica è un punto limite dell’umano, e a questo punto comincia il divino. Essa è un monumento eterno al fatto che gli uomini seppero presagire che cosa è Dio, il quale, eternamente semplice, vario e dinamico, fluisce in se stesso e nel mondo come Logos". [3]

 

 Rocco Camillò  d.O.

 


 

[1] A. Cistellini, S. Filippo Neri, I, p. 78

[2] A. Cistellini, op. cit., p. 92

[3] Hans Urs von Balthasar, Lo sviluppo dell’idea musicale, Glossa, Milano 1995, p. 47